Se vuoi seguire per capirci qualcosa è bene farlo in ordine cronologico. Eccoti il link al primo articolo di questa serie.


Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.


Dov’eravamo rimasti? Ah sì, avevo trovato delle ricerche che – adattandole al caso di mio padre – sembravano potessero darmi lo spunto per aggredire la causa potenziale della macroglossia. L’avevo risolta nel sintomo – lo sai – ma avevo giurato vendetta al suo misteriosissimo meccanismo sottostante. Bene, nell’articolo che precede ti dettagliavo le mille difficoltà per tentare l’impresa: riuscii a superarle tutte, elaborai la strategia e reperii con astuzia le armi (uno sconosciuto e inutilizzabile farmaco) ma ci arenammo per la mancanza di quella che ho definito “la firma sulla dichiarazione di guerra”. Cioè? La prescrizione di uno specialista che avallasse il mio piano, per metterlo in atto nella struttura sanitaria dove mio padre è ricoverato. C’era la volontà degli stessi medici che ci seguono ma – comprensibilmente – trattandosi di una cosa mai fatta prima, volevano la “copertura” di una prescrizione per non rischiare guai. Tutti gli specialisti da loro interpellati, non avendo mai avuto a che fare con il fenomeno nè con la sua causa (e nemmeno col medicinale da me reperito), avevano risposto picche. Me lo aspettavo.

A quel punto non ci voleva un genio per capire che avevo non più di due chance:
1) lasciar perdere, tanto la lingua non sarebbe mai tornata ad essere un problema ingestibile;
2) spremermi il cervello nella speranza di inventarmi qualcosa e raggiungere lo scopo.

Per un po’ mi sono fermato optando per la 1, ma non ce la potevo fare. Era diventata una sfida personale, ormai. Quindi viro sulla 2 e penso. Dovevo individuare un medico, possibilmente nell’Ospedale pubblico di riferimento per la nostra struttura, che validasse la mia proposta. Ero ben consapevole di non poter cercare qualcuno che conoscesse il farmaco e le sue applicazioni: non esisteva (per ragioni da attribuire alla unicità della situazione). Quindi? L’obiettivo era un dottore autorevole con il quale io avessi avuto un buon rapporto. Uno, insomma, che prima di dirmi di no ex ante, mi avrebbe almeno dato retta. Il resto stava nel destino e alla mia abilità di persuasore. Incrocio i “dati” e… bingo! Visualizzo nella mia mente l’identikit del soggetto: la neurologa dell’Ospedale della nostra provincia, colei che formalizzò – a suo tempo – la diagnosi a mio papà. La “superneurologa” di cui ho scritto nel 2015, qui. Non potevo prevedere l’esito, ma ero sicuro che mi avrebbe ricevuto senza prendermi per un rompicoglioni o un matto.

Domenica 17 marzo 2019 mi invita a raggiungerla in Ospedale, è di turno. Non la vedo da qualche annetto ed è felice di sapere che in famiglia ci siamo ancora tutti. Mi fa accomodare nel suo studio dove inizio a raccontare quanto accaduto sul viso di mio papà a partire dall’estate scorsa, sino alla tragedia dell’autunno 2018. Elenco i tentativi falliti, gli indizi raccolti, i contatti con gli esperti di SLA in tutto il mondo e la loro convergente risposta: o sta così oppure glossectomia. Allora racconto le mie notti insonni, la consultazione di ricerche di ogni genere e la messa in pratica di un potenziale rimedio, rivelatosi – contro ogni pronostico – miracoloso! La brava neurologa mi segue interessata, legge le pubblicazioni che le ho stampato e che – reinterpretate ed assemblate dal sottoscritto – hanno condotto all’insperata vittoria, ad un soffio dall’asportazione della lingua. Alza lo sguardo dai fogli, vede le foto “prima-e-dopo” di mio papà (qui) e dopo averci riflettuto un istante, esclama: “Chapeau“.

Una bella soddisfazione, ma non ero lì per pomparmi l’ego. Proseguo: “rimane la causa – tuttora attiva – e gli gonfia la lingua di quel po’ che basta per starmi sulle palle”. Vuoto il sacco fino in fondo: mostro lo studio che più di tutti mi ha indirizzato verso il fantomatico farmaco e – con circospezione manco fossero ovuli di cocaina – tiro fuori le pastiglie che costano (o costerebbero…) come un’utilitaria in pronta consegna. “Quindi mi sta chiedendo una prescrizione, di fatto, per somministrarle al papà?“, chiede sorridendo. Si prende un attimo, consulta la documentazione che ho prodotto e… “Sì, sì. Ha senso. Proviamo!

Prima di salutarci mi suggerisce una mossa, accetto con piacere. L’esperta neurologa mi consiglia alcuni integratori (sì, integratori!) da testare, a suo dire non è inverosimile possano aiutare. Se tra un mese non vi saranno i miglioramenti auspicati, allora si renderà disponibile per sottoscrivere la “dichiarazione di guerra”. Fantastico!

Brava, aperta, sveglia e con la volontà di aiutare. Chapeau!

Ps: Concedimi una battuta. C’è un non-so-che di sconvolgente, in tutto ciò. Prepariamoci a cambiamenti radicali nel mondo così come lo conosciamo oggi. Che sto dicendo? Ah beh, fai tu… cioè, un neurologo consiglia a me degli integratori, quando io da lui avrei voluto subito un farmaco. E’ la fine di un’epoca.

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2 Comments

  1. Nik sei un GRANDE vorrei avere io la tua intelligenza e forza, un abbraccio

    1. Grazie dell’incoraggiamento. Sai, la forza l’ho trovata nel vedere l’atroce sofferenza su mio papà quando aveva quel problema senza soluzione. Mi son detto “o mi invento qualcosa – non so come – o stavolta gliela tagliano”. La cosiddetta “forza della disperazione”, che mi ha fatto passare notti insonni e leggere pallosissimi studi, senza fermarmi fin quando non ho avuto l’illuminazione.

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