Tracheotomia e SLA. Ok, lo so: il tema è maledettamente serio, ma se frequenti il mio blog sai cosa aspettarti. Già è un mondo dove si piange fino a disidratarsi, quindi preferisco continuare con un tono non drammatico e un poco dissacrante, forse fa bene anche a te che mi stai leggendo. Si tratta di un pezzo molto particolare, quello che sto per scrivere. Non ha alcuno scopo se non il fornire un punto di vista, del quale ogni lettore farà poi ciò che ritiene. Molte persone mi hanno contattato negli ultimi giorni e per questo esco allo scoperto. Parliamo di tracheotomia e SLA: è così terribile, la tanto odiata tracheotomia?
Tracheotomia e SLA: perchè è quando serve. E la mia testimonianza.
Essa si rende necessaria qualora il diaframma ed i muscoli accessori alla respirazione (intercostali, ecc.) non riuscissero più – da soli – a bastare; l’intervento consiste nel praticare un foro alla base del collo, dove inserire una cannula a cui va a sua volta collegato il tubo di un ventilatore meccanico, una macchina che pompa aria in trachea. Detto così, è spaventoso lo so, ma è l’unico modo per spiegare di cosa si tratti. Mio padre, fin dalla diagnosi, ha sempre rifiutato l’idea. Io, dal canto mio, non ho mai voluto esprimermi: è una scelta troppo personale e non avrei saputo cosa dire, era lui solo a poter valutare. Anche immedesimandomi in chi si deve almeno porre idealmente il problema, faticavo ad avere una risposta chiara per me stesso, figuriamoci per gli altri. Mi sono limitato a parlarne con lui, assieme ai medici, per illustrare il tipo di soluzione e le operazioni necessarie. Nulla da fare, ha sempre manifestato la sua completa contrarietà. Dentro di me il conflitto, quindi il silenzio.
Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.
Come molti – a quanto so – anche lui ha cambiato idea in extremis. Cos’è accaduto?
Va detto che a mio papà è più di un anno che gli si “ventila” (è proprio il caso di dirlo!) che di lì a poco il problema sarebbe stato da affrontare. Invece, con un certo stupore degli specialisti, abbiamo tirato avanti contro ogni previsione, e nemmeno annaspando (forse pure grazie a questo): saturazione dell’ossigeno e anidride carbonica nel sangue (dall’esame dell’emogas) sempre impeccabili da fare invidia ad un maestro di Yoga. Nonostante le condizioni fisiche via via peggioravano – anche a causa di una SLA con motore prodotto negli stabilimenti di Maranello – i valori non si scalfivano di nulla! Solo un paio di mesi fa le rogne hanno iniziato a comparire, quando mio padre si è trovato a respirare forzando col collo (muscoli compensatori, che si “attivano” in caso di bisogno). Ad ottobre 2015 gli è stata quindi prescritta la cosiddetta NIV (Ventilazione Non Invasiva), ovvero il mascherone facciale nel quale una macchina spinge l’aria da mandare in bocca. Poco male, eravamo per fortuna comunque ben in ritardo su quella che era la tabella di marcia prevista: con una bulbare e di quelle così toste, vedersi prescritta la NIV dopo quasi 2 anni era già un traguardo da leccarsi le orecchie, come dice Ezio Greggio. Non fosse che la NIV gli iniziò ben presto a creare un bastardissimo effetto collaterale che perdurava in barba ad i mille tentativi per arginarlo: un po’ d’aria gli andava dove doveva (nei polmoni), mentre un altro po’ – inspiro dopo inspiro – si andava a sistemare nello stomaco, gonfiandolo come una mongolfiera. Con una parrucca da donna, nessuno si sarebbe accorto di nulla se lo avessimo portato in Ostetricia: lo avrebbero posizionato sul lettino del parto senza farsi troppe domande. C’era però un altro risvolto di quelli subdoli: iniziava a stare male per i dolori allo stomaco e per i rigurgiti che la pressione dell’aria gli creava al suo interno. Anche dargli da mangiare e bere con la Peg (che per me, lo immaginerete, è lo strumento della speranza) era diventato un dramma: appena aprivo il tubo usciva un vento che pareva d’essere a Trieste un anno fa, ed assieme all’aria succhi gastrici e quant’altro si trovasse lì in quel momento. Per giorni rifiutava l’alimentazione: dolori e reflussi erano insopportabili, tant’è che a dicembre 2015 gli viene posizionato un PICC in un braccio (un aggeggio per favorire l’infusione di flebo, anche di nutrizione).
La situazione stava precipitando, il primo sabato dicembrino arrivò il disastro. Improvvisamente cominciò a desaturare alla velocità della luce, lui che sulla saturazione è sempre stato un campione indiscusso. Capirono che lo stomaco – ormai grande quanto una cornamusa – gli premeva sul diaframma: la NIV – in pratica – gli bloccava la respirazione. Scomodo! Lo sgonfiarono non vi dico come, tra mille sofferenze. Ma tempo qualche ora e di notte l’irreversibile: il diaframma e la cassa toracica – ancora compressi come in una scatola di sardine – non reggono più e mio padre, che in quei lunghi momenti è praticamente sceso all’inferno, si sente pronunciare la fatidica domanda con la differenza che ora non riguardava il futuro, bensì l’imminente. Stringe gli occhi chiudendo le palpebre, anzichè scuotere la testa (il che equivale ad un “sì“, nel nostro codice binario d’emergenza). Nuova domanda per conferma e, presenti i medici, stringe di nuovo. Chiamata al pronto soccorso e via a sirene spiegate alle 03.30 nella nebbia di una fredda notte padana. Me la stavo facendo sotto che avrei tanto voluto avere il pannolone. Ero contento, alla fine, che avesse accettato l’intervento ma tremendamente preoccupato perchè il tempo stringeva da impazzire. Tralascio ulteriori dettagli che stanno nel mezzo e non sono divertenti (ha rischiato le penne, di brutto!), giungo al punto: tracheotomia fatta, con due giorni d’anticipo rispetto al suo compleanno. Direi che si è fatto un regalo di vitale importanza. Mettiamola così.
Ora il perchè di questo articolo su tracheotomia e SLA. Ho apprezzato ritenendole utilissime – assieme a mio padre al quale le avevo lette nelle settimane precedenti – le testimonianze di chi forniva il proprio punto di vista avendo già affrontato tutto quanto e mi sento in dovere – pur senza voler influenzare nessuno, nel modo più assoluto – di condividere a mia volta le nostre personali opinioni. Quello che sto per dire riflette quanto mio padre mi sta dicendo in questi giorni, oltre a ciò che pensiamo io e mia madre adesso che vediamo la realtà davanti agli occhi. Tieni presente che noi tre eravamo tutti dei “No-Tracheo“. Ebbene, devo essere onesto, abbiamo cambiato idea: la tracheotomia non è certo una passeggiata ma… sì, mio padre mi dice di stare meglio di prima (non che ci voglia molto, la NIV tra decubiti sul volto più pancia da gravidanza inoltrata era per lui una tortura) e ammette che la tracheo, pur non essendo un giocattolo, è molto meno peggio del previsto e ben più sopportabile di quanto credesse. Io e mia mamma, guardandolo, la pensiamo come lui. Abbiamo meno ansia di eventuali crisi respiratorie, lui finalmente respira bene e mi ha ripetuto – se ancora non fosse chiaro – che questo tubo è più brutto da immaginare che da avere. Non è insomma quel mostro pauroso che forse molti pensano (come noi, ex ante).
Tornando indietro, probabilmente, programmerebbe l’intervento per evitare di doverlo fare in una situazione di criticità, rischiando grosso di vedere la luce bianca con i parenti defunti che gli venivano incontro. E’ stata la prima domanda che gli ho fatto, quando l’ho rivisto sveglio dopo 48 ore da incubo. “Papà, ma in quei momenti… il tunnel, la luce bianca, i parenti che ti venivano incontro, li hai visti o no?“. Dice di no.
Questo è quanto ti dovevo, una testimonianza su tracheotomia e SLA senza pretese ma solo come umile contributo a chi sta pensando a tale eventualità.
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Mia madre ha scelto di non fare la tracheo e ormai era davvero stanca e furente… Non ce la faceva più… Non riusciva più ad ingoiare neanche l’acquagel…. Abbiamo compilato il modulo con lei e firmato con lei appoggiando la sua scelta…. Giovedì l’ho inviato all’ospedale… Venerdì mattina è precipitata la situazione…. Di nuovo all’ospedale, dopo appena 15 giorni a casa… Questa volta, però, già in stato di morte clinica… L’ossigeno e il suo cuore forte l’hanno fatta resistere per oltre 24 ore, ma da venerdì mattina pur con gli occhi aperti non poteva più risponderci… L’abbiamo affiancata fino alla fine, tenendo nelle sue orecchie gli auricolari con la musica che tanto amava…. Fino alla fine… Sabato alle 18,15 dopo tre brevissimi respiri ha chiuso gli occhi, per sempre… Io ero accanto a lei e l’ho accompagnata…. Nella disperazione ne sono felice, non potrò e non vorrò mai dimenticarlo…. Ciao mamma, il mostro ha preso il tuo povero corpo ma ora sei libera, ora stai bene. Le nostre lacrime ora sembrano inarrestabili, ma ora tu stai bene. Ciao mamma….
Mi dispiace molto e ti abbraccio da lontano. Avevo sempre letto con piacere i tuoi commenti, e questa notizia mi lascia sgomento. Perdonami e perdonatemi se in questi casi ho davvero pochissime parole. Vi sono vicino.
Bastano poche parole… Vogliono dire tanto. Ti ringrazio… anche per tutto quello che fai e che scrivi. In quei mesi durissimi sdrammatizzare è stato fondamentale, soprattutto per lei che ha sorriso fin quasi all’ultimo. Grazie di cuore…