Ricordi, dalla notte della tracheo.
“Stanotte rivivremo la stessa scena, ma nell’ambulanza ci sarà mio padre“, è la frase che ho pronunciato, in macchina, la sera del 5 dicembre 2015. Ma partiamo dall’inizio.
All’epoca mio papà non respirava più autonomamente, da metà ottobre di quell’anno si era infatti resa necessaria la NIV (Ventilazione Non Invasiva): una maschera facciale che convoglia in bocca aria spinta da un ventilatore meccanico. Purtroppo con quell’aggeggio non siamo stati fortunati, a dispetto di tanti compagni di sventura che la tollerano discretamente portandosela avanti per anni. Per mio padre e di conseguenza per noi, invece, fu un vero e proprio incubo. Quei due mesi di NIV che precedettero la tracheostomia li ricordo come uno tra i peggiori periodi in assoluto, nella tragedia della malattia. Una SLA ad esordio bulbare, tra l’altro, la versione solitamente più rapida e aggressiva.
Mio papà – con la NIV – ha manifestato ben presto grossi problemi. Immensi. Anzitutto una dipendenza ogni giorno maggiore e, nel giro di poco, la comparsa di un insidioso e raro effetto collaterale. Parte dell’aria che la NIV spingeva in bocca se ne andava giù per l’esofago, da lì nello stomaco e quindi nell’intestino. Risultato? L’addome aumentava di volume a dismisura, creando dolore. Ancor peggio, le dimensioni addominali finivano per comprimere i polmoni ed il diaframma, dando vita ad una perfida beffa. Due facce di una stessa medaglia: la ventilazione non invasiva – impiegata per sostenere e migliorare la respirazione – era la stessa a renderla via via impossibile. Da un lato quel ventilatore pompava aria preziosa nei polmoni di mio padre, dall’altro lo gonfiava in pancia a tal punto da impedire alla cassa toracica di espandersi. Insomma, per respirare meglio finiva che respirava sempre peggio. Pazzesco.
Soluzioni? Poche, difficoltose e mai risolutive. Di notte puoi lasciare aperto il tubo della Peg affinchè un po’ d’aria fuoriesca dallo stomaco, oppure provi con i sondini rettali: entrambe misure efficaci quanto svuotare il Garda con un secchio. È giunto al punto di avere così tanta pressione nello stomaco da non riuscire più a sopportare la nutrizione artificiale: da lì piazzammo il catetere venoso nel braccio (PICC) per sopperire con l’alimentazione parenterale. Bene, ma in quello stato non vai avanti molto. Ogni giorno nella stanza della RSA rappresentava un calvario micidiale di gonfiori, tentativi mal riusciti di sgonfiamento, desaturazioni per eccessiva compressione, sofferenze e paure. Si andava a letto con il groppo in gola, con il terrore di una telefonata nella notte e l’angoscia di cosa avremmo trovato il mattino successivo al risveglio. In quel periodo abbiamo iniziato la collaborazione con persone che lo sorvegliassero anche di notte (nonostante fosse ricoverato serviva qualcuno con lui h24), dopo che mio padre un giorno mi scrisse: “Ci vuole una persona anche dalla sera alla mattina, o prima o poi mi trovate cadavere“. Tutto così insopportabile che nel mio profondo ho iniziato segretamente a sperare, sì, sperare che arrivasse il momento della tracheostomia. Per quanto spaventosa, non pensavo potesse esser peggio di quanto già stessimo vivendo. Lui non ne voleva sapere, ha sempre rifiutato l’idea, ma dentro di me ero convinto si sarebbe ricreduto in extremis. E così fu, grazie a Dio.
Era il tardo pomeriggio di sabato 5 dicembre 2015, un amico ci viene a fare visita ma mio padre non sta bene. È gonfio come un pallone e satura di poco sopra i 90, pur con la NIV che spinge. I battiti del cuore sono alti, il viso rosso di fatica. 92, 91, 90, 89. Allarmi. Ci fanno uscire, entrano in due e dopo venti minuti riaprono le porte. Finalmente lo vedo, è stremato dopo essere stato sgonfiato a forza con la sonda rettale, aveva l’aspetto di uno appena stato investito da un treno. La saturazione, per fortuna, aveva guadagnato 4 o 5 punti ma ben sapevo che il ventilatore lo avrebbe riempito d’aria nel giro di qualche ora. Di nuovo, sempre così.
Quella sera non volevo andarmene, il disastro lo sentivo in agguato: non era più questione di SE, ma di QUANDO. Eppure così stanco e agitato, non so come ma decisi comunque di andarmene, come dopo una qualsiasi giornata trascorsa con lui. La signora che “fa” le notti mi dà il cambio, naturalmente, e lui già dorme. È esausto.
Sono le 8 di sera quando salgo in macchina, anch’io sfinito, per tornarmene a casa. Dal cancellone della struttura si immette in strada un’ambulanza, qualcuno si era evidentemente sentito male e lo stavano mandando verso l’ospedale. Do la precedenza e mi accodo. Il blu dei lampeggianti ed il suono delle sirene mi entravano nell’abitacolo, negli occhi e nelle orecchie. Per diverse centinaia di metri la scena prosegue: io in auto e davanti a me quell’ambulanza che scheggia, per poi svoltare verso la città.
“Più tardi tocca a noi“, dico. “Eh?“, mi chiede chi siede in auto alla mia destra. “Stanotte rivivrò la stessa scena, in macchina dietro a un’ambulanza che corre con sirene accese. Ma nell’ambulanza ci sarà mio padre e anch’io girerò per lo svincolo, per seguirla“.
A casa il clima non è dei migliori, è passata la mezzanotte ma sono ancora sveglio. Squilla il telefono.
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Informazioni utilissime nel tui racconto.
Mamma ha gli stessi sintomi. Sta a casa ancora ma spesso ha dolori forti e non capivo il motivo, grazie a te ora mi è tutto più chiaro. Spero quell’ambulanza di seguirla per tempo senza necessità di urgenza.
Il valore delle esperienze!
In bocca al lupo e Keep Fighting
Ciao Nik,
io convivo con una ragazza di 26 anni a cui hanno diagnosticato la SLA da ormai 4 anni e mezzo. Capisco che ogni caso sia diverso, anche l’età incide molto, ma pneumologa e medico di base hanno pareri piuttosto discordanti sulle capacità respiratorie della mia convivente e io sinceramente non ci sto più capendo niente. Lei tende a sottovalutare o negare ogni piccolo segnale, al momento respira ancora in autonomia, ma come si fa a capire quando c’è la necessità della NIV? Da cosa posso capire che la situazione sta degenerando e che potrebbe avere una crisi respiratoria? Ci sono dei campanelli d’allarme o è una cosa che arriva senza preavviso?
Lei non di certo mi aiuta, fa di tutto per nascondermi ogni piccolo cambiamento per paura di finire in ospedale, purtroppo però sono l’unico a prendermi cura di lei, praticamente abbandonata dalla famiglia, assistenti sociali che è come non esistessero e i medici alimentano solamente i miei dubbi invece di darmi delle risposte e questa situazione mi sta provando fisicamente ed emotivamente.
Ciao caro, mi dispiace molto per la situazione che state vivendo. Io non sono un medico, quindi posso giusto darti un parere personale ma il consiglio è quello di farti poi dare indicazioni più pertinenti dal pneumologo. Compra un saturimetro e prova la saturazione 2 o 3 volte al giorno, quando lei è a riposo. Finchè rimane facilmente sopra il 96/97 sei tranquillo. Dal 95 in giù non dico ci siano tragedie in atto, ma la situazione va tenuta controllata. Se è un istante, ok, ma se è stabilmente da 95 in giù è chiaro che serve un controllo. E di tanto in tanto, in accordo con i medici, sottoporsi all’esame Emogas (è un prelievo di sangue): è fondamentale farlo con cadenza regolare per valutare pO2 e pCO2. In bocca al lupo.
A mio padre hanno dato la NIV dopo una bronchite dovuta al fatto che non riusciva piu’ a liberarsi dalle secrezioni. Purtroppo non la sopporta, non riesce a tenerla 5 minuti, la rifiuta. La demenza frontotemporale portata insieme alla SLA da c9 lo intralcia. Non potra’ percio’ essere sottoposto a nessun intervento invasivo. Siamo convinti che in un posto diverso da casa sua se ne andrebbe velocemente, abbiamo visto la velocita’ con cui e’ peggiorato durante i ricoveri. Pare proprio che non possiamo fare altro che vederlo soffrire e spegnersi, ma l’unica medicina che fino a adesso si e’provata efficace e’ la possibilita’ di starsene a casa sua. Anche se non possiamo fare molto altro che vederlo mangiare sempre meno e deperire, respirare male e cercare di cacciar via il catarro senza pace, stancarsi stando seduto, faticare ogni volta per essere capito… Ciliegina sulla torta tutti quei pasticconi amari che al centro Nemo gli hanno prescritto… E’ cosi’ difficile fare medicinali in un formato adatto a chi soffre di disfagia??
Mamma mia… so bene quanto sia un incubo. E’ tutto difficile, in una fase del genere fatta di sacrifici importanti e sofferenza, come si legge nel tuo racconto. Sicuramente le migliori cure ed attenzioni le ha con i suoi familiari vicino, su questo non ci sono dubbi. In bocca al lupo, tenete duro.
Gia’. Ormai mia madre non lo sopporta piu’ perche’ lui ha bisogni continui e la sveglia la notte, chiede soprattutto cose che non gli servono e gli fanno male come ad esempio ripetere piu’ volte l’areosol o alzargli l’ossigeno. Lui non riesce a deglutire quasi piu’ ed ha il rifiuto del cibo. Inoltre non parla piu’ e anche per iscritto riesce a comunicare sempre meno… Quasi nulla riesce piu’ ad attirare il suo interesse: o dorme, forse per il cerotto di morfina, o per i calmanti, o anche per la stanchezza, o e’ tormentato dai sintomi. Mi rendo conto che rimane poco tempo e domani viene per la prima volta, finalmente, un medico a casa, un palliativista. Mi sono stupita della lentezza di qualsiasi tipo di intervento… C’erano quegli appuntamenti ogni tre mesi al Nemo, per lo piu’ consistevano in una chiacchierata e basta… So che ad oggi non si puo’ fare per lo piu’ nulla per questa malattia, soprattutto nella forma di mio padre, ma gli approcci palliativi e alla fisioterapia sarebbero stati utili gia’ dall’inizio, anziche’ all’ultimo momento. Invece ho percepito da subito la paura dei medici, il loro evitare di affrontare l’argomento per tempo. Inoltre, probabilmente non abbiamo sufficenti risorse per regalare assistenza a tutti, se mio padre avesse avuto da subito cure a domicilio e assegno per l’accompagnamento (che tutt’ora non ha) altri avrebbero potuto reclamare lo stesso diritto… Non so che pensare, ma credo che ci sia ad oggi troppa ignoranza nel nostro sistema sanitario. Prima c’era la scusa di non conoscere la malattia, ora si sa piu’ di quel che si ha il potere di fare… Ad esempio ci si aspetta un veloce aggravamento quando gli esordi sono di tipo SLA bulbare, ancor piu’ con DFT, ancor di piu’ rispetto all’eta’, e quando il test genetico mostra c9orf72, una mutazione gia’ da qualche anno nota nelle forme familiari, della quale si sono cominciate a capire alcune cose. Eppure si aspetta l’ultimo momento possibile, quando l’aggravamento e’ gia’ avvenuto ed evidente, per prendere una qualche decisione, o solo parlarne… Immagino dipenda anche dal paziente, e dal familiare, dalla loro volonta’ di affrontare l’argomento, che puo’ non esserci, ma il medico e’ quello che ne sa di piu’, ha lui la responsabilita’ di dare il via… Tra l’altro, l’ignoranza che percepisco risulta soprattutto nel fatto che le malattie del cervello rimangono un tabu’, qualcosa di cui e’ difficile anche solo parlare, figuriamoci affrontare… Abbiamo degli ostacoli culturali a riguardo, per esempio siamo abituati fin da piccoli a considerate le persone con demenza solo come un peso per gli altri e tendiamo a fargliene una colpa… Ma con l’aumento di queste malattie con l’allungarsi dell’eta’ nelle generazioni prossime, probabilmente gia’ dalla nostra, ci si aprira’ anche a questo.