Oggi ti parlo di SLA, ospedali e centri di eccellenza. Come molti dei miei amici lettori sanno, in questi giorni mi trovo in ospedale per questo motivo. Sono in un centro che ha al suo interno una specializzazione per la gestione del paziente SLA e – in particolare – delle problematiche respiratorie annesse e connesse. Ah, se hai cliccato per l’immagine di copertina, no… niente figa 😀
Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.
SLA, ospedali e centri di eccellenza – Ora provo a scrivere un post piuttosto serio e con qualche riflessione costruttiva. Non mi piacciono le crociate contro “il sistema”, quando sgangherate e poco razionali, per questo cercherò di essere obiettivo e lucido. Preciso che questo articolo non è riferito tanto all’ultima “vacanza” ospedaliera, quanto alla somma di tutte le esperienze accumulate, ma anche quelle di cui – noi interessati – leggiamo ogni giorno da parte di altri sfigati nostri pari.
Se prendo le mie sensazioni e le confronto con i compagni di sventura, beh il denominatore comune è evidente. Non è infrequente che:
- ci si senta poco considerati, trattati in modo sbrigativo;
- più un paziente è in stato avanzato, meno sembra meritevole di attenzione;
- quando cerchiamo di spiegare ad un medico (o al personale) una situazione di cui solo noi – che siamo a contatto quotidiano col malato – siamo a conoscenza, ci sentiamo spesso snobbati. Altre volte riceviamo risposte sciocche o arroganti.
Mi chiedo il perchè di tutto questo: se a dirlo fossero in pochi non gli darei nemmeno peso. Invece troppi lamentano più o meno quanto ho descritto. Qualcosa non va, per forza. Ma non si può sparare nel mucchio, a caso, generalizzando e straparlando. Se tutti noi abbiamo incontrato almeno una volta un medico cafone e un infermiere incapace, ognuno ricorderà pure un dottore competente, umile e gentile, così come un’infermiera premurosa e sul pezzo. Se qualcuno di loro ci sta sui coglioni, sono sicuro ne abbiamo altri ancora nel cuore. Ergo, il problema non è la categoria in quanto tale. Vi dirò di più: al personale tutto, attribuisco delle attenuanti; il difetto per me è sopra, nel manico. Provo a spiegarmi.
Ho notato, nel mio peregrinare nosocomiale, che anche le migliori strutture sulle carta mostrano deficit pesanti, per noi che viviamo con la SLA (in prima persona, o su uno dei nostri cari). Quali?
a) Mancanza di esperienza sul singolo. Per quanto bravi ed esperti, medici ed infermieri di ospedali o centri d’eccellenza per la SLA non possono avere l’occhio su quello che è il singolo caso. Non gliene si può far certo una colpa; è solo una constatazione. Un conto è l’esperienza sulla malattia – e il centro specialistico ce l’ha – altra cosa è la conoscenza od il monitoraggio sul caso specifico, solo il caregiver lo può avere per via della vicinanza day-by-day con il paziente. Questo “sguardo privilegiato” si rivela essere di importanza crucciale. La colpa del personale, quindi dove sta? Nell’incapacità di ascoltare e nell’essere prevenuti verso i familiari, i quali si scontrano con un muro, segnalando invano aspetti che invece sono centrali.
b) Non sempre c’è il ParenteCagacazzi. Ho promesso di essere obiettivo: ecco, sono consapevole che nella carriera di un medico o paramedico non ci sia niente di peggio dell’avere a che fare con un ParenteCagacazzi. Sono certo dell’esistenza di tali figure: mogli ipertese, figli pretenziosi, lavativi che pensano di sapere cose che poi, di fatto, non possono conoscere, tuttologi dell’ultim’ora che sproloquiano minacciando denunce o di piantar grane anche quando non ve n’è motivo. Ma il difetto è sempre nel manico: sta a te, professionista del centro di eccellenza, il saper “scremare” e distinguere il ParenteCagacazzi da quello che invece ti può dare una mano ed è mansueto, come il sottoscritto. Trattarci come cagacazzi, prima ancora di conoscerci, è un errore. Talvolta costa anche caro: perdi tempo tu, dottore, e fai delle figuracce quando poi si dimostra che con un poco più di apertura mentale avresti evitato (o risolto) un problema.
c) Nessuno avrà mai cura dei tuoi cari come ce l’hai tu. Piaccia o no è così. Attenzione: questo varrebbe per assurdo anche per noi qualora fossimo medici, bando all’ipocrisia. I pazienti dopo un po’ diventerebbero routine, numeri e, sono sicuro, anche i migliori dei nostri – nei panni di un medico o di un infermiere – non riuscirebbero ad avere la stessa premura per gli estranei, rispetto a quella profusa per la mamma o il papà. La magagna è ancora nel manico: un buon amministratore deve tener conto di questo aspetto mentale e fisiologico dei suoi dipendenti. A lui il compito di limarlo con opportune misure, quanto più possibile.
SLA, ospedali e centri di eccellenza – Non c’è speranza, quindi? C’è, ma è quasi utopia.
Mettendo insieme il vissuto diretto e quello raccontato dai tanti amici, mi sono trastullato nel creare il mio “Centro SLA ideale”. Pensa te…
Sai come l’ho immaginato? Così. Te lo spiego con parole semplici, per essere immediato.
- Un direttore generale che abbia avuto a che fare direttamente con la SLA, e che sia dotato di attitudini e qualifiche per un ruolo dirigenziale (tipo io, ecco 😀 ). Pagato con un variabile sui risultati, legati alla soddisfazione del paziente e dei familiari, quindi alla risoluzione dei loro problemi. Almeno quelli risolvibili, s’intende.
- Formazione specifica ed altamente qualificata per il personale (per quanto riguarda il rapporto con paziente e familiari), da parte di soggetti che hanno vissuto in prima persona il calvario della SLA. Se uno di loro – e lo dico sul serio – fosse nominato con un ruolo di formazione e controllo importante e non di facciata (vedi sopra), sono sicuro che molti handicap di queste strutture – pur fisiologici – sarebbero ridimensionati.
- Una figura interna, con i medesimi requisiti del DG (o lui stesso), costantemente a disposizione dei pazienti e delle famiglie. Non voglio più vedere addetti ai lavori che mi ascoltano di fretta, magari col muso, pensando a cosa devono fare nei minuti successivi. Nè voglio più dover ripetere le stesse cose a tutte le figure dell’ospedale. Nemmeno mi trovo a mio agio nella parte del ParenteCagazzi: mettimi nel Centro SLA – a me famigliare caregiver – una figura di intelligenza sopraffina e mentalità aperta che sia il mio riferimento e che possa farsi valere. Un interlocutore che – come dicevo al primo punto – sia pagato anche profumatamente, ma in funzione della soddisfazione espressa alle dimissioni.
- Le competenze specifiche. Le ho messe all’ultimo posto, non a caso. Indispensabili – certo – ma sono l’ultimo anello, non il primo. Di un infermiere, di un medico, di un ricercatore o esperto di ventilazione artificiale che non ascolta e si perde non appena si esce dal suo orticello quadrato non me ne faccio niente. Datemi sì il luminare, ma solo dopo aver soddisfatto quanto sopra. Vada per il luminare quadrato, se sopra di lui c’è un amministratore illuminato.
E le risorse? Ne servono, tante. Gestire bene un baraccone del genere costa. Perchè se fai contenti i pazienti, ma a fine anno i conti non tornano, salta il banco. Brutto dirlo, ma non possiamo ragionare senza tener conto del vil denaro.
Il centro SLA che riuscisse a combinare l’esperienza sulla malattia (medici) con l’esperienza sul malato (familiari, quando non cagacazzi puri) sarebbe il mio ospedale ideale.
E non ditemi che c’è già. Perchè non è vero!
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Nick, sfondi un portone aperto, nel mio caso. Sono stata una ORGOGLIOSAFIGLIACAGAZZI e su due cose principalmente la vedo come te. Prima di tutto il fatto che non siamo medici, ma solo noi possiamo assistere come meritano i nostri cari, non c’è storia. Nel mio caso è stata determinante una carissima amica di mamu, OSS di professione, nel salutarmi dopo la prima visita post diagnosi mo disse: “ricordati sempre che tua mamma ha una malattia, non è una malattia”. Volente o nolente per gli altri è proprio il secondo caso.
In secondo luogo sì, credo sia ESSENZIALE che alla guida di simili strutture ci siano persone preparate, certo, ma che abbiamo una imprescindibile esperienza diretta di questo male. Una banalità: litigare, da brava OFCC, con tutti perché “mia madre non era diabetica. È colpa di questa pappa”. E niente, muro di gomma: pappa diabetici ed insulina. Ma cosa vuoi saperne tu, figlia, che sei solo quella che se ne occupa.
Nick piove sempre sul bagnato tentano o meglio ci provano ma se non ami chi hai di fronte non dico dare la vita per un paziente ma neanche mettere le vesti di medici ed infermieri ,di quella struttura che ha accolto papà in questi giorni e non è la prima volta che tu ci vedi più lontano di loro e non solo lì ma in altre strutture mi vergogno di essere per questa gente un operatore sanitario infermiere si mi vergogno ….è pensa a tutta la sanità che va a rotoli così da noi ospedale nuovo di pacca Rep di medicina interna indagato per la morte di 22 persone in sei mesi ma non uno ma bensì tutto lo staff !!!
Condivido tutto.Sono stata la caregiver cagacazzi e il mio nome e le mie storie erano, in barba alka tanto declamata privacy, a conoscenza di tutti.Inascoltata negli ospedali (con una puccola rara eccezione) quando spiegavo e sottilineavo alcune undicazioni imparate in rianimazione, sul corretto uso del ventilatore etc etc, purtroppo questi malati sono un.peso , ma la cosa più brutta è che ,nonostante la presenza numerosa di malati, il personale è ancora molto disinformato…