Quanto scriverò è da considerarsi in chiave ironica e non vuol mancare di rispetto nè di gratitudine alle persone che, armandosi di buona volontà, si recano a far visita ad un ammalato e ai suoi familiari. È sempre una bella azione.

Ciò premesso, il periodo delle feste di fine anno è fonte di ansie e stress per chi vive la SLA sulla propria pelle o – come nel mio caso – nei panni del caregiver familiare. I motivi sono presto detti. Anzitutto la mole ingente di auguri cui rispondere, un vero e proprio delirio collettivo; con la SLA i messaggi in entrata e in uscita sono raddoppiati, dovendo replicare ai “miei” e pure a quelli di mio padre, ma di questo ne parlai nel post dello scorso anno che ti consiglio di rileggerti, qui, se vuoi farti una risata. Mettiamoci anche un po’ di malinconia per i bei tempi andati, ed ecco che il Natale – il quale rimane una festività importante e positiva – per noi assume inevitabili contorni di grigio.

Nel post di oggi voglio parlarti di un altro temibilissimo aspetto che le feste dicembrine portano con sè, uno dei più graditi e allo stesso tempo faticosi per i malati e caregiver familiari: le visite. Eh sì, perchè per Natale non solo vengono a trovarti coloro che già si fanno vedere con una certa regolarità, ma devi cuccarti anche una serie sterminata di elementi che non vedevi da tempo immemore. Prese singolarmente le visite fanno piacere, anche perchè, se non venisse nessuno, borbotteremmo: “eh, quello là manco a Natale, vergogna!“. Il problema è che sono tutte concentrate, dando origine al fastidioso collo di bottiglia: tanta gente in pochi giorni e nelle medesime fasce orarie. Tra le 11:00 e le 17:00 del 25, per intenderci, sai bene che non si presenta nessuno; dalle 16:00 alle 19:00 di S. Stefano – invece – l’affluenza alle urne registra dei picchi verticali.

I giorni difficili li fiuti – oltre che dal calendario – già quando arrivi nel parcheggio dell’ospedalino che ci ospita. Belle macchine appena lavate e, lungo le scale per arrivare al secondo piano, un tripudio di permanenti fatte il giorno prima, pellicce fiammanti e eau de toilette che si libra nell’aria. Sono i giorni di festa, dove prima o dopo pranzi e abbuffate, amici e parenti dei degenti passano per il saluto al loro caro.

I punti critici delle nostre feste di Natale

“Dai, almeno vi riposate un po'”. E’ una delle frasi più gettonate da metà dicembre, ma rappresenta un enorme abbaglio. Per il malato e per il caregiver, il periodo di Natale è l’esatto contrario: sono i giorni in cui ci si riposa di meno, in tutto l’anno! Gestire amici&parenti che spesso si sovrappongono lo stesso giorno alla stessa ora è un vero e proprio lavoro. Non so le vostre, ma la SLA di mio padre con annessi e connessi non è che sotto Natale si prende una pausa: le necessità sono le medesime, ma hai molto meno tempo a disposizione per svolgerle.

Visite previo appuntamento. Ci ho provato, negli anni, ma è stato un fiasco. Agli inizi di quest’avventura notavo come i visitatori sotto Natale cadessero sempre nei momenti peggiori della giornata. O quando mio padre non stava bene o quando – ad esempio – c’era in corso il clistere con svuotamento intestinale, una procedura indispensabile e di cui non ti liberi in 5 minuti. Ho provato a farmi furbo, chiedendo di telefonare prima di partire, affinché io potessi dare conferma del “buon” momento ed evitargli un viaggio a vuoto. Tu pensi che mi abbia mai chiamato qualcuno? Uno solo? Ci credi? Zero! Mai. Anzi, sembra facciano apposta. L’anno scorso – con la mia mente strategica – ho pensato: “il clistere lo faccio appena prima dell’ora di pranzo il giorno di Natale, chi cavolo vuoi che venga?“. Erano in 4, presentatisi sulla porta mentre io indossavo guanti in lattice sporchi (non di cioccolato) e avevamo appena finito di pompare perette come non ci fosse un domani. Poi che fai, non li fai entrare e gli dici di tornare un’altra volta? Per carità: meglio acconsentire e spuntare la check-list dei “già venuti” anzichè lasciarli in sospeso ad accavallarsi nei giorni seguenti, quindi li lasci fuori qualche minuto ad attenderti mentre annaspando sistemi l”impalcatura di fortuna” per evitare lo straripamento e consentire la visita. Riprenderai le operazioni dopo – in fretta e furia ed in clamoroso ritardo sula tabella di marcia – appena se ne sono andati.

Meglio tutti insieme? Annoso problema, cui non ho ancora trovato risposta durante la lungodegenza di mio papà che perdura da metà del 2015. Accade sistematicamente che in ospedale giunga una coppia di zii e, alcuni istanti dopo, dalla porta facciano capolino due amici di mio padre. Tempo un quarto d’ora ed ecco materializzarsi i cugini che vengono da lontano. Tutti insieme, nello stesso momento: stanza d’ospedale presa d’assalto, pellicce e cappotti alla naftalina avvelenano l’aria. Tutto ciò ha comunque un grosso vantaggio: ti liberi di 3 o 4 visite in un colpo solo e rispondi alle domande di rito una volta e per tutti. Questo – credimi – è un bel benefit. Cronometro alla mano, ho notato però che potrebbe trattarsi di una pia illusione, la visita multipla – infatti – è spesso più lunga dell’accesso singolo in quanto poi le chiacchiere tra visitatori si intersecano e al pari di un volano impazzito generano conversazioni su conversazioni, in una spirale infinita che come l’universo non si capisce da dove abbia avuto inizio e se mai vi sia una fine.

Allora meglio scaglionati? È l’altra faccia della medaglia: non averli tutti sovrapposti rende i dialoghi meno dispersivi e ciò può farti pensare di concludere prima ma… come accennavo credo sia illusione pure questa. Le visite scaglionate sono spesso consecutive, fuori uno e avanti il prossimo, il che occupa svariate ore durante le quali rimandi tutta una serie di manovre che – comunque – ti troverai a dover far dopo. Quando i visitatori lasciano l’ospedale per andarsene a casa, al cinema o al ristorante, tu cerchi di recuperare alla velocità della luce infilando cateteri, facendo aerosol e macchina della tosse; se ti vesti di rosso passi per un meccanico Ferrari durante il cambio gomme in un gran premio. E poi ci sono le domande, le terribili, insopportabili domande tutte uguali e sempre le stesse con la differenza che chi in un ufficio-informazioni ci lavora, almeno viene pagato. Al primo posto, resta fisso in vetta della classifica il “ma lui capisce tutto?“, saldamente in testa da anni. Al secondo, il “come stai? Ehi, allora? Come va?” insistito e ripetuto verso uno che non può rispondere e – al terzo – diretto a me, il “sì ma tu col lavoro come fai?“. Ai tre immancabili quesiti hai già risposto alla vigilia ai cugini e poi agli amici suoi delle elementari, hai risposto di nuovo il pomeriggio di Natale alla sua vecchia zia e – nelle 24 ore consecutive – lo ripeterai al cugino che lavora in banca, agli amici delle medie, alla signora che una volta quando eravamo ricchi faceva le pulizie da noi, all’ex vicino di casa, al compagno che suonava la chitarra con lui negli anni ’70 e ai parenti quelli di Milano. Il 27 dicembre mattina di ogni anno mi accorgo di aver ripetuto ad alta voce gli stessi concetti per 72 ore senza fermarmi, molto più che nei giorni precedenti la discussione delle tesi di laurea. Persino di notte, potrei aver biascicato nel sonno, ormai con automatismo infermabile un: “fi fi, la testa fimane lucida nella SLA… eh… fi, col lavofo cefco di cafavmela… i.. i.. in… qualche maniefa“. Prima o poi sbotterò e al trentottesimo soggetto in due giorni che mi chiede “ma lui capisce tutto? C’è con la testa? risponderò che sono io – ormai – a non capire più un cazzo e ad esser fuori di melone, e stramazzerò al suolo esanime.

E mancano ancora i visitatori del 31.12 e del primo gennaio…

Con la speranza di averti fatto sorridere, ti auguro un buon fine anno e un 2020 pieno di… visite e domande! 😉


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