Mio papà è ammalato da gennaio 2014 e nel 2015 ho deciso di interagire sui social dove si parlava di SLA. Nello stesso anno nasce il mio blog SLAffanculo. Da allora ne ho incontrati – virtualmente ma non solo – di amici, ancor più ho letto le tante storie che si raccontano su forum e gruppi online. Ho interagito con centinaia di persone in pubblico e in privato su Internet; da qui l’idea per il post di oggi.
Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.
Non si tratta di una lezioncina: non sono un dottore ma uno sventurato come te che mi leggi. Posso esserti utile non come guida – ci mancherebbe! – ma soltanto con il racconto di esperienze dirette ed indirette, le quali potrebbero fornirti spunti di riflessione per evitare errori grossolani. Sì, perchè di cose che tornando-indietro farei prima, meglio o diversamente ce ne sono parecchie. Altre, invece, non riguardano la storia di mio padre ma sono comunque “errori” (sempre a mio parere, s’intende) che ho visto e vedo commettere tuttora a parecchi degli amici che condividono online la loro battaglia con la SLA.
Ti riassumo quelli che ritengo più comuni, per i quali ti propongo la mia chiave di lettura. Di questa, tu fanne quel che credi e per le iniziative non dimenticare che non devi pendere dalle mia labbra, bensì rivolgerti a un medico o un centro specializzato.
Rimandare tutto quanto riguarda i poteri di firma
Quando ti fanno la diagnosi sei sconvolto e non vuoi pensare a ciò che potrebbe avvenire dopo. Si crede sempre di tirare avanti in qualche modo, lo so. E’ un errore che ho commesso anche io, così mi è toccato rimediare quando le cose erano più ingarbugliate. Risultato? Ho sbroccato il triplo. Ho sgobbato, perso tanto di quel tempo (e denaro) e tirato tante di quelle parolacce che la vicenda mi è rimasta impressa da volerci scrivere un libro. Tranquillo, non è obbligatorio comprarlo: puoi informarti da assistenti sociali e centri SLA. Il libro l’ho scritto per quelli come me che, avendo poco tempo per perdere mezze giornate alla volta tra appuntamenti e consulti, preferirebbero spendere qualcosa e orientarsi leggendo un libretto chiaro e snello, scritto da chi c’è passato (aspetto non da sottovalutare…). Il senso è quello di aiutarti nella scelta migliore: di scelte “giuste” ce ne sono diverse, il mio obiettivo è raccontarti quella che per me è la migliore (per non andare di matto e tribolare di meno) Se ti interessa dare un’occhiata, clicca qui. Che ti informi per i cavoli tuoi o che prendi il mio libro per uno spunto e risparmiare tempo e rogne non importa: quel che conta è che tu ti occupi al più presto della questione. “Ma io sto bene, sono perfettamente in grado di firmare e/o comunicare!“, mi diresti. Certo, ed è adesso che devi risolvere la questione. Per te e per chi ti sta vicino: non caricatevi più di quanto lo siete già.
Non avere individuato un ospedale “strategico”
L’iter della diagnosi – solitamente – avviene in un centro specializzato o comunque in un grande ospedale, magari a centinaia di chilometri da casa tua. E’ un’ottima idea: hanno più casistica e forse più strumenti e strutture. Se la diagnosi, invece, già ce l’hai, il mio consiglio di caregiver è quello di individuare l’ospedale più vicino a te e che possa comunque rispondere alle esigenze di un paziente SLA. Non ti sto dicendo di abbandonare le visite al lontanissimo centro d’eccellenza, voglio solo che tu sappia dove andare anche in un caso di emergenza. Emergenza che non deve essere per forza la più grave possibile, mi riferisco pure a questioni non particolarmente spaventose. Se tu non hai individuato nulla nei paraggi, ti troverai disorientato nel momento del bisogno. Ascolta il Nick e fa in modo di scegliere qual è l’ospedale più vicino con una buona neurologia, gastroenterologia e pneumologia; poi continua andare al centro a 200 km, faresti bene. Ma un ospedale “d’appoggio” e a pochi minuti in cui sai a chi rivolgerti è importante.
Continuare a provare cose a caso per tentare il colpaccio, senza capirne nulla.
Diete, integratori, terapie complementari o addirittura alternative, chelazioni, infezioni, ossigeno e chi più ne ha più ne metta. Ne ho sentite decine e decine, alcune di queste strade le ho seguite pure io: certe le ho mollate, altre le porto avanti da quando la storiaccia è cominciata e non intendo cambiare idea. L’atteggiamento di chi vuole “provare” qualcosa è quello tipico di chi non ha idea di ciò che sta facendo, o quasi. Lo so, sono antipatico, ma lo scopo è darti uno spunto utile. Ascoltami e rifletti. Se vuoi provare qualcosa, è molto probabile che tu non sappia di cosa stai parlando, altrimenti non dovresti fare alcuna prova. Le cose da fare le devi decidere prima, sulla base degli obiettivi. “Provare” – nella SLA ma non solo – è il modo giusto per perdere tempo e soldi, perchè tanto non sei in grado di valutare un effetto (anche se lo credi!) e quindi finirai dopo qualche mese col buttare via tutto per una nuova e più straordinaria prova, che finirà esattamente come la precedente. Entusiasmo e iniziali sentori positivi cedono il posto gradualmente a delusione, abbandono, strali e lamentele. E allora, come scegliere cosa fare? Cercando di capire prima: vale per i farmaci, per gli integratori, i regimi alimentari, le terapie chelanti e qualunque altro tema. Altrimenti fai come chi ha provato l’edaravone sperando di migliorare la SLA e poi si è rivoltato sui social, dopo mesi di spese e fatiche, tirando cancheri agli scienziati perchè la progressione è proseguita. Ok, ma la colpa non è dell’edaravone: bastava informarsi prima per capire cosa potesse fare (e cosa no).
Rimandare PEG e TRACHEO, quando invece inizieresti ad averne bisogno
E’ un tema spinoso che si tende a voler evitare come la peste. E’ successo a noi: mio padre non voleva sentirne parlare e pure io ero disgustato all’idea. Detestavo quegli operatori sanitari che a vario titolo andavano sull’argomento, quando forse era ancora troppo presto. C’è però una via di mezzo importante. Di sicuro col senno di poi la faccio più semplice di quanto sia, lo so, ma se sei qui è perchè vuoi per lo meno sentire il mio parere, altrimenti non staresti leggendo il post. Cosa mi sento di dirti? Che quando mangiare/bere diventa più un problema che altro e – allo stesso modo – quando la respirazione e la NIV (la maschera che pompa aria) comportano una fatica ed una preoccupazione quotidiana, andando a posizionare la PEG o ad effettuare l’intervento di tracheostomia beh… finirai per stare meglio. Nulla è peggio dell’incubo di respirare male o di mangiare/bere con grandi difficoltà: PEG e tracheo – se sei a questo punto – ti porteranno solo che a star meglio. Dovrai adattarti un attimo, ma dopo qualche settimana non è improbabile che penserai “quando mai non l’ho fatto prima!“. A mio padre è accaduto proprio così: abbiamo tirato lungo fino al massimo possibile, correndo dei rischi, per poi scoprire che muoversi in anticipo avrebbe risparmiato tante rogne e reso la vita più semplice, o comunque meno complicata di quanto ormai non fosse. PEG e Tracheo fanno paura, ma ne fanno più a pensarci che a farle. Con questo non voglio dire che tu devi orientarti per forza verso le due opzioni (o una delle due): la scelta è personale ed insindacabile, sempre comprensibile. Quale che sia. Il mio suggerimento è soltanto quello di pensarci prima di esserci per il collo e – qualora fossi d’accordo per tali interventi se si rendessero necessari – è lì che ti prego di non attendere emergenze, ma di anticiparle. Ne guadagnerai tantissimo. L’ho ripetuto molte volte: Peg e tracheo non sono giocattoli, non sono divertenti ed è ovvio che sia meglio non averne bisogno ma… se il gioco si facesse duro, allora queste due misure saranno in grado di diminuire l’impatto dei problemi che stai vivendo.
Spero che questo mio post ti possa stimolare qualche riflessione e magari esserti utile in qualche modo. Se apprezzi il mio blog e l’impegno per ciò che condivido, puoi sostenere SLAffanculo con una donazione qui sotto. Oppure leggiti un mio libro.
Eh, anch’io preferirei che mio padre fosse ancora qui, con la peg e la tracheo. Ma non ha voluto, rispondeva di no con decisione, ha firmato. Solo non so se fosse stato informato davvero adeguatamente dai dottori, e io stessa non ho avuto il coraggio di affrontare con lui l’argomento. Eppure, sono andata con lui a tutte le visite al Nemo per tutto l’anno, e non se ne e’ mai parlato, almeno non davanti a me, se non nell’ultima, mentre era ricoverato, quando lo hanno fatto firmare!
Piuttosto, ad ogni visita, mio padre chiedeva di essere coinvolto in qualche cura sperimentale. La risposta negativa era sempre sottintesa, mai motivata se non con “non e’ ancora dimostrato che siano efficaci”.
Col senno di poi in effetti ci saremmo accontentati del policlinico vicino casa anziche’ arrivare ogni volta fino a quel centro specializzato, che si tornava sempre piu’ stressati