Nella prima parte della cronaca degli ultimi eventi (qui) eravamo giunti alla somministrazione della prima dose del vaccino. Con la seconda dose, finalmente, sarei andato a sollecitare per la revoca della restrizione delle nostre visite a sole 3 ore, in vigore ormai da qualche mese. Era lecito un cauto ottimismo, quando…
E’ un venerdì, otto giorni dal primo vaccino. Arrivo in ospedale come ogni pomeriggio, dalle 15:00 alle 18:00, per assistere mio papà. Sono le 17:00, quando due infermiere fanno ingresso nella stanza, bardate più del solito: “Dobbiamo fare il tampone a tuo papà“, e procedono. Chiedo se si tratta di un normale screening a personale e pazienti, ma l’operatore farfuglia qualcosa a bassa voce da sotto la mascherina e non capisco. Vedo che hanno fretta, non insisto. Nei minuti che seguono qualche pensiero mi balena per la testa: “un tampone di routine alle 17:00 di venerdì pomeriggio? Bah…“. Comunque – lo dicevo nel post precedente – di positivi lì dentro nemmeno l’ombra da un bel pezzo, e non dimentichiamoci che si era a buon punto con le vaccinazioni (seppur alla prima dose).
Non faccio in tempo a smettere di ragionare che in un attimo risento bussare alla porta della stanza: è il Direttore Sanitario. “Abbiamo già gli esiti dei tamponi, trattandosi dei rapidi. Ci sono 8 positivi nel reparto, tuo papà è negativo. Da domani, però, devo chiedervi di non entrare più, vi farò sapere quando ritornare“. Il Direttore è gentile, senz’altro dispiaciuto per noi e visibilmente sotto stress per il guaio che si trova tra le mani. Sembrava un film già visto alcuni mesi fa (lo raccontavo nel primo articolo della serie). Inizio a sudare freddo, sapendo che dall’indomani non avrei più potuto fornire l’assistenza vitale a mio padre, ma mi sentivo più fiducioso. In fin dei conti, la prima volta, avevamo riguadagnato l’accesso nel giro di 4 giorni. Certo, a ben guardare, il contesto è peggiore: in quell’occasione ci fu un solo positivo tra il personale mentre tutti i pazienti risultarono negativi; stavolta, invece, 8 di essi sono positivi al coronavirus. Mi ritrovo in un frullatore di ipotesi: questione di una settimana o andrà per le lunghe? Nessuno sa rispondermi. Saranno eseguiti altri tamponi per confermare gli esiti, si dovranno isolare i positivi, sanificare il reparto. Inizio a rendermi conto che la speranza di una blitzkrieg (guerra-lampo) andava vanificandosi quando, nei giorni successivi, vengo a sapere che i positivi salgono via via a 12, 25, 30, fino a 41. Passano anche le settimane: una, due, tre e – mentre ti sto scrivendo – siamo alla fine della quarta.
E’ la prima volta da quando mio padre si è ammalato che non posso seguirlo (insieme a mia madre), siamo ad un mese di assenza forzata. Vedi, non so se tu che mi leggi hai ben presente cosa significhi una SLA sotto ventilazione meccanica, perchè per capire a fondo le mie preoccupazioni – anzichè prendermi per un esagitato catastrofista – ciò è del tutto necessario. Mi spiego: solo chi ha piena contezza della fragilità e complessità di una condizione analoga a quella del mio povero papà può aver chiari i rischi insiti nella situazione venutasi a creare. In ospedale, privato dei caregiver, ad uno stadio di totale immobilità con ventilazione meccanica. Credi a me: non basta essere un operatore della sanità per rendersene conto, serve avere a che fare con situazioni del genere quotidianamente, per ore ed ore. Il medico o infermiere (che ogni paziente lo vede qualche minuto per turno) per quanto consapevole non avrà mai la percezione reale del lavoro che ci sta dietro, le difficoltà continue e improvvise, la fragilità della condizione ed il rischio-vita in agguato per i più impensabili dettagli. Stiamo giocando alla roulette russa, ed è solo questione di tempo. Un mese è trascorso, mio padre è ancora vivo e non si può continuare a confidare nella sorte benigna. Me lo auguro, ma da dentro la trincea della SLA ininterrottamente dal 2014 conosco a memoria le insidie. Impensabile togliere i caregiver, anche con il paziente ricoverato nel miglior reparto del pianeta.
Ho decine e decine di aneddoti che potrei elencarti, per dimostrare come un paziente SLA a questo stadio non possa assolutamente essere lasciato solo, nemmeno in un eccellente ospedale. Aggiungici la questione psicologica, senz’altro devastante: pensa a cosa significa stare in un letto senza poter comunicare, con un tubo in gola che si riempie di secrezioni fino a farti soffocare (gli allarmi non suonano subito), senza poter cambiare posizione, canale della tv, grattarti. Impossibilitato a lamentare un dolore, a chiedere un conforto di qualche genere, nulla. Mi fermo, non voglio rendere ancor più crudo il racconto per chi legge, ma – dal mio piccolo – desidero testimoniare cosa sta accadendo ai malati gravi. Può succedere anche a te o a un tuo caro, per ragioni differenti.
Sono molto preoccupato, oltre al rischio quotidiano si stanno manifestando problemi evidenti. Mi sto muovendo su due fronti: da un lato cerco di rientrare quanto prima in ospedale, dall’altro sto valutando se – pur tra mille disagi – la strada più veloce possa essere il ritorno a domicilio. Con quel diavolo di Covid in mezzo alle scatole, però, la questione si fa più complessa, con l’assistenza domiciliare ridotta all’osso e i tempi che si allungano (mio padre ha bisogno di assistenza e macchinari, non è un paziente che puoi portare a casa così, da un giorno all’altro).
Ci troviamo tra l’incudine e il martello, e nessuno che si è mai preoccupato delle situazioni che vivono malati come mio padre. Freniamo l’emotività: non ce l’ho assolutamente con l’ospedale, dove tutti hanno sempre dato il massimo per un caso tanto sfortunato. Il Direttore Sanitario sta semplicemente rispettando le normative che gli impongono restrizioni del genere. Ce l’ho con la politica, con un sistema che in oltre un anno di emergenza Covid non ha saputo trovare il modo di tutelare e sostenere chi affetto da altre patologie gravi e gravissime.
Certo, tu mi dirai: “Ma c’è il Covid!“. Ok, hai ragione, ma siamo così sicuri che il Covid debba sempre avere la precedenza su tutto, ad ogni costo? Nel prossimo post ti spiegherò come la penso. Se ti interessa come spunto di riflessione, continua a seguire il blog.
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