Beccati quanto è infuriato il pinguino della foto. Sembro io, una volta rientrato a Malpensa, dopo le mie 12 fatiche. Questo è un post narrativo, te lo dico subito.

Come ti spiegavo nel pezzo precedente se il primo viaggio in Israele non fu uno scherzo, il secondo è stato qualcosa di brutale. Sette giorni a Tel Aviv, quasi senza uscire del megagrattacielo che ospitava al suo interno sia la clinica sia l’hotel (questo al tredicesimo piano, numero che a mio padre – da tempo immemore – non è mai piaciuto, ben peggio del 17), con un disabile gravissimo e complicazioni di ogni genere. Vediamole una ad una in questo elenco semiserio, nel quale molti di voi si riconosceranno nei panni del paziente o del caregiver. Mi raccomando, non prendetevela per i toni: voglio scherzare un po’. Mio padre non è mai stato un peso per me, come nessun paziente lo è per i propri cari. Il peso è la malattia, non la persona con le sue comprensibili esigenze. Guai a fraintedermi!

1) Il volo: tre ore e mezza per due volte con mio padre a cui era ceduto il collo da mesi. Il collare? Già provato, ma manco quello serviva perchè tenendolo faceva fatica a respirare con la bocca o ad inghiottire la saliva. Quindi? Dovevo tenerglielo su io un po’ con le mani e un po’ farlo appoggiare a qualche aggeggio di fortuna. Tralascio poi le difficoltà di carico e scarico sull’aereo. Uno che si è rotto una gamba, ha forza nelle braccia, nell’altra gamba, nel busto: lui era come un sacco di patate ed ogni movimento era una tragedia.

2) Nutrirsi: mio padre era già disfagico ma riusciva con la roba frullata, il bere era invece complicatissimo. Da solo non riusciva a portare il bicchiere alla bocca, il collo era a penzoloni e bere alzando la testa avrebbe peggiorato la già precaria deglutizione. Come se non bastasse, non era nelle condizioni di poter stare in carrozzina e girare què e là, inoltre ti ho spiegato che l’unico albergo per noi possibile non aveva il ristorante. Per colazione ci siamo arrangiati chiedendo il permesso di scegliere qualcosa dal buffet da portare in stanza, lì mia mamma avrebbe frullato e io imboccato, o viceversa. Pranzo e cena, che si fa? Prendiamo il taxi, spostiamo mio padre su e giù dalla carrozzina alla macchina, e andiamo a mangiar fuori, con uno che si ciba solo di frullati e perde saliva? Una pazzia anche solo pensarlo. Per il pranzo siamo riusciti ad escogitare un escamotage: abbondare col buffet della colazione, al fine di avere provviste sufficienti (da frullare) per tirare a mezzogiorno. Sulla cena eravamo in difficoltà. Ai piani bassi del grattacielo c’era un McDonald’s, ma frullargli un BigMac non era da me. Per la prima sera ci siamo arresi e abbiamo abdicato, sfiniti dalla giornata. Nei giorni seguenti, grazie ad una dritta, rintracciai un ristorante russo che faceva solo polpette non-so-di-cosa (l’ho chiesto al telefono, ma ne ignoravano gli ingredienti!) e purè di patate: non era il massimo, ma potevamo adattarci. Il bere restava tragico: se il primo giorno a Tel Aviv ce la siamo cavata con un paio di flebo nella clinica, ora dovevamo trovare un rimedio. Il pomeriggio eravamo soliti a trascorrere un’oretta in una sala dove si poteva bere del tè (e altro) gustando qualche torta ebraica. Visto che il tè verde scorreva a fiumi (e il green-tea nella SLA ha il suo perchè, liscio senza zucchero), ebbi una folgorazione: “se io gli tengo la tazza e ci ficco una cannuccia, lui può bere senza alzare il collo e siamo a cavallo. Però con una bulbare, vuoi che sia in grado di stringere le labbra e tirar su?” Sì, fu prodigioso! Ha tracannato 6 (davvero sei!) tazze di tè verde dalla cannuccia come fosse una pompa idrovora. Da lì in avanti – anche in Italia – la cannuccia rappresentò per molto tempo uno degli strumenti più sensazionali che l’umanità avesse mai conosciuto.

3) La minzione: non beveva granchè, ma faceva pipì peggio che il nostro gatto Nerino quando era in calore. Non ho mai visto un uomo pisciare tanto. E spesso! Sono arrivato a pensare che mio padre non mi volesse più bene e si divertisse a torturarmi. Areoporto, volo, clinica, saletta dell’hotel. Tu dirai: “pannolone“. Non lo voleva, perchè gli dava fastidio. Allora giravo munito di guanti, bicchieri di carta e bottigliette. Rischiavo troppo – nelle toilette che ho girato con lui – ad alzarlo, tenerlo in piedi, mentre con una mano gli tiro giù i pantaloni e le mutande. Era un delicato gioco di equilibri che poteva generare una caduta rovinosa. Ma il peggio di sè lo dava di notte, come se prima di andare a dormire gli avessimo fatto bere un fusto d’acqua tutto d’un fiato. Mi chiamava rantolando dal divano su cui era adagiato, mi alzavo e con un’operazione degna del migliore artigiano riuscivo a posizionare un bicchiere nel punto giusto, affinchè non dovessi alzarlo ogni volta e poi ritrovare la posizione. Ciò richiedeva comunque svariati minuti e – non appena con la guancia mi rimettevo sul cuscino – un nuovo richiamo per aggiustargli di un mezzo millimetro il braccio. Lo capivo, per carità, ho sempre fatto tutto con amore e dedizione. Ma era sfiancante.

4) Andare di corpo: una tragedia, tra clistere a letto, trasporto in bagno e la tremenda “manovra evacuativa” che il sottoscritto ha imparato ad eseguire in modo certosino. E il lavaggio non era da meno, con uno il cui fisico era tale e quale a Cristo deposto dalla croce. La prima volta abbiamo fatto arrivare a supporto una infermiera in albergo per darmi una mano: alla fine ho fatto tutto io, ha voluto 70€ per un’ora e mi ha regalato 1€ spagnolo del quale voleva sbarazzarsi. Basta così, per le volte dopo ci ho pensato da me.

5) Dormire: era impossibile, tra minzione con la frequenza di un felino che marca il territorio nel periodo degli accoppiamenti e l’aggiustare la posizione anche se di millimetri, non ho chiuso occhio. La mattina sveglia presto per fare colazione e poi portarla a lui, dopo frullamenti vari, e poi una giornata su e giù dal 20esimo piano per i trattamenti previsti, tra spostarlo da carrozzina a lettino, togli la maglia, alzalo in piedi, rimetti la maglia, togli le scarpe, metti il cuscino. Un incubo, 24 ore al giorno.

6) La televisione: alla sera riuscivo a ricavarmi 15 minuti di libertà, dopo averlo sistemato sul divano e mentre mia mamma leggeva a letto. La tv poteva essere un intervallo di relax, ma niente. Solo canali israeliani, qualche canale straniero ma non italiano. Per fortuna la camera era dotata di PC, e La7 è l’unico canale dei nostri che trasmette in streaming all’estero.

7) Il clima: fuori 28 gradi, dentro 18, quando faceva caldo. Stando quasi sempre all’interno ho pensato più volte che mi sarei ammalato, ma grazie al mio sistema immunitario ho retto. Certo che veder fuori il sole e la gente vestita come da noi a luglio, invogliava non poco. Più avanti capirai meglio.

8) Il succo di pompelmo: se nei primi giorni si rifiutava di bere, da quando abbiamo scoperto che la cannuccia era un rimedio miracoloso si era fissato sul succo di pompelmo rosa della “rest-room”, tanto da chiedermelo ogni 20 minuti (te credo poi, che piscia!). E io: “te lo do in testa il pompelmo! E’ pure zuccherato, devi bermi il tè verde che c’ha i polifenoli e soprattutto l’epigallocatechina gallato che con la SLA ci va a nozze!“. Non riuscii a vincere la battaglia, ma patteggiò per qualche tazza di tè verde tra un pompelmo e l’altro. Quindi esci dalla stanza, prendi ascensore per piano 14esimo, vai nella saletta, prendi il succo, chiedi al cameriere la cannuccia, torna giù, mettilo a sedere, tieni il bicchiere, adagia la cannuccia in bocca, e via.

9) I cuscini: mai soddisfatto della posizione, specie sul divano-letto, anche in albergo (come a casa) ogni sera la solita discussione. “Ma se ieri i cuscini così andavano bene, perchè oggi no?“. Niente da fare, avrò cambiato un centinaio di posizioni e combinazioni, quasi sempre senza successo alcuno. Ho sperato – lo dico – che si addormentasse per sfinimento; non è mai accaduto.

10) La tabella con le lettere: è una delle cose che detesto di più al mondo. In quel periodo stava smettendo di parlare in modo comprensibile ma ancora non avevamo chiesto il comunicatore (che comunque non avremmo mai preso su in aereo, è ovvio), quindi c’era l’insopportabile tabella con l’alfabeto scritto a penna. Ho odiato più questa che la feroce cuoca della mensa di quando andavo all’asilo (per me, che alla materna ci andavo col grembiulino e una scimmietta di peluche da tenere in braccio, quella cuoca gendarme era terrificante!). I dialoghi con la tabellina avrebbero fatto perdere la pazienza a Giobbe. “Hai detto A?” Lui mi fa di sì. “Adesso hai guardato la L?“, ancora sì con la testa. “Quindi AL?“. Mi fa no! “Ma non era la A, la prima lettera?“. Scuote il capo, per dire no. “Guarda che io questa tabella la prendo e la sbatto fuori dopo averla fatta a pezzettini minuscoli col minipimer“. E lui ride. “Cazzo ti ridi, che sto diventando scemo?“. E rideva di più.

11) La mia colonna vertebrale. E’ vero che i peggiori problemi nella spina dorsale ce li aveva lui, visto quanto stava accadendo al suo interno, ma pure la mia colonna vertebrale – per altri motivi – soffriva da panico. In 7 giorni l’avrò alzato, spostato, sollevato e riseduto per decine di volte al dì. Sì, so che devo piegare le ginocchia, ma credi a me: quando lo fai per 24 ore e nelle peggiori condizioni possibili, il mal di schiena ti viene lo stesso. Le mie vertebre lombari – avessero potuto parlare – mi avrebbero mandato affancu… Ho anche pensato di aver perso 2 centimetri in statura, per via della loro progressiva compressione durante la settimana nella Terra Promessa. Mi svegliavo con la voglia di essere appeso per le caviglie a testa in giù, per sentirmi scrocchiare e tirare dalla L1 alle L5 e ancora oggi ne risento di notte, tanto che ultimamente sogno di essere svegliato da una fisioterapista che mi massaggia le parti basse della schiena, mentre tiene tra le labbra una fragola (intanto che sogno, la sogno giusta!).

12) Non aprite quella porta! Ebbene sì, se sono stato fuori dal grattacielo non più di un minuto, c’era un motivo su tutti. Prova ad immaginare quale clima di serenità ed allegria stavamo vivendo: a Tel Aviv per la mossa disperata delle staminali, con un padre affetto da una bulbare che ringhia e un insieme di sfighe antecedenti da farti pensare di farla finita. Stanchezza, preoccupazione, sofferenza, disperazione. Converrai con me, che la spensieratezza era un miraggio. Ma, come nelle peggiori tentazioni di satana, al di fuori della porta girevole di quell’avveniristico grattacielo… c’era il Purim! Una festa molto sentita paragonabile ad un nostro carnevale, solo che noi lo festeggiamo col freddo, loro col caldo. “Sì, ma siamo in Israele, sarà una cosa sobria, pallosa… qualche processione e canto caratteristico. Poi, con la morosa che è rimasta a casa in Italia, che vuoi che faccio in giro da solo?“, pensavo. Beh, guardandoti attorno capisci subito che innanzitutto dai tempi dell’Antico Testamento deve essere passato qualche annetto. Ero come Ulisse legato all’albero della nave, mentre le sirene lo provocavano con i loro canti suadenti. Che cavolo c’era – te lo starai chiedendo – lì fuori? Potrei dirti festa, musica, vivacità. Ma, non renderei l’idea. Intorno alberghi con piscina di giorno, techno che sentiresti ad Ibiza, gente che andava in spiaggia; di notte una discoteca a cielo aperto e pompelmi rosa sospesi a mezz’aria, ovunque. Ti lascio qui con un breve video su Tel Aviv: quello che c’era là fuori era uguale. Identico, che avrei potuto girarlo io col cellulare sbirciando dai finestroni!

Pensami, quando lo guardi, e capisci quanto ho sofferto!

4 Comments

  1. E dire che immaginavo Israele molto diverso…..
    Ti ammiro un sacco, infondi un po’ di coraggio a chi si trova ad aver a che fare con quella maledetta.

  2. Io sono il primo che se la fa sotto, ma cerco di non darlo a vedere.

    Pure io Israele lo immaginavo un po’ diverso, però ecco… anche così non è male eh! 🙂 🙂 🙂

    Grazie mille dei complimenti!

  3. Ciao Nick ,per piacere mi puoi dare indirizzo email in Israele (ho letto titti i tuoi commenti per le cellule staminali.)..però mi hanno chiesto se potevo chiederti per il email. Grazie mille!

    1. Ciao, il centro israeliano – che io sappia – ha chiuso. In ogni caso, a prescindere da Israele, ti consiglio VIVAMENTE di ponderare bene la decisione sull’andare (ovunque sia) a fare le staminali. Non so con quale “obiettivo” avete considerato tale strada, ma se vuoi una mia opinione personale… beh risparmia i soldi e le fatiche di un viaggio del genere. Poi naturalmente scegliete con la vostra testa e non con la mia, però almeno un parere ci tenevo a dartelo: state a casa. Meglio disilludersi da casa e con il portafoglio ancora pieno, piuttosto che dopo un viaggio massacrante ed il portafoglio vuoto.

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