Questo mio articolo è conseguente a quello che trovi a questo link. Desidero ricavarne uno spunto generale e proporre una soluzione che ritengo di facile attuazione, oltre che di buonsenso.
Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.
Che la priorità sia la cura definitiva della SLA non ci piove, nel mentre serve poter reggere al meglio le mille complicazioni che la patologia comporta. Una di esse è la cronicizzazione delle infezioni batteriche: sono causa di sofferenze, ansie, vere tribolazioni per i malati e le famiglie. Non è un problema che si pretende di risolvere alla radice, ben sapendo che si tratta di un fenomeno quasi inevitabile, ma la mia esperienza personale con mio padre e quella di molti altri amici mi haacceso dapprima una grossa spia rossa (c’è un problema!) ed in seguito pure una lampadina (vuoi mai che ci sia una soluzione?).
I punti chiave della questione
- le infezioni batteriche rappresentano una complicazione ingravescente, tipica in pazienti immunocompromessi, allettati e portatori di peg, picc, tracheostomia;
- è impossibile prevenirle al 100%, così come lo è – purtroppo – eradicarle davvero, anche con il migliore degli antibiotici;
- un paziente SLA dovrà affrontare infezioni che si riacutizzeranno nel tempo, con maggiore frequenza. Per il malato e la famiglia, in presenza di infezione riacutizzata vi è un ulteriore carico da sopportare e gestire, fisicamente ed emotivamente;
- non essendoci la cura efficace al 100% (curare le infezioni batteriche nei fragili è una sfida aperta della medicina moderna), è importante che le terapie esistenti siano impiegate al meglio;
Cosa insegna la mia esperienza con mio padre e quella di molti amici SLA
- una infezione batterica cronica in un paziente fragile ed immunocompromesso non è il mal di gola batterico di un sano, richiede una personalizzazione della terapia;
- ho notato differenza nel trattamento della medesima infezione: solitamente, nei casi sopra menzionati, gli infettivologi spingono di più su dosaggi e durata, rispetto a qualunque altro medico. Il mio rimane un discorso generale, ma già con mio padre emergeva come la terapia impostata da un infettivologo fosse in media più aggressiva rispetto a quanto prescritto da altri medici (internisti, pneumologi, ecc.). Non sto attaccando alcuna figura, sto solo sottolineando un fatto;
- notavo che quando era l’infettivologo a scegliere la terapia, il tempo tra la necessità di un antibiotico e di quello successivo era maggiore, mentre quando si andava col “braccino corto” (specie sulla durata, 5-6-7 giorni), l’infezione si riacutizzava in minor tempo;
- mi è chiaro che di antibiotici non si debba abusare, non sto sostenendo di usare la mano pesante a prescindere. Vanno evitati fin quando è possibile. Fotografo semplicemente il dato: quando l’antibiotico si rende indispensabile, l’infettivologo spinge di più (tipo di antibiotico, dosaggio e durata) e mi pare ottenga un risultato migliore quanto a lasso di tempo senza sintomi.
Le criticità emergenti dalla mia esperienza e quella di tanti amici con SLA
- il trattamento delle infezioni viene quasi sempre affidato a medici di medicina generale o a specialisti, ma non a specialisti di malattie infettive (pneumologi, ecc.);
- nei centri SLA si punta sull’integrazione di più competenze per coprire le esigenze del paziente: il neurologo, il nutrizionista, lo pneumologo, il fisioterapista. La questione “infezioni croniche” è di assoluto rilievo, non si comprende la mancanza dell’infettivologo nell’ambito multidisciplinare di un centro specialistico;
- il malato di SLA con infezioni croniche riceve indicazioni spesso diverse (talvolta pure errate) quanto a trattamento, trovandosi così spaesato ed in difficoltà psico-fisica
- è probabile che un paziente SLA si trovi a dover essere trattato, per le infezioni, con antibiotici di uso ospedaliero (si pensi ai carbapenemi, ad esempio). Come scrivevo nel post precedente qui, è ovvio che il malato cerchi di rifiutare il ricovero, o procrastinarlo ad oltranza. Ciò comporterà l’impiego di trattamenti non ottimali e, di conseguenza, il peggioramento ulteriore dell’infezione;
Mi rendo conto che solo chi vive con la malattia addosso, e tra le mura di casa, può avere l’esatta percezione del disastro che sta dietro le criticità sopra menzionate. Notti insonni dei caregiver per gestire pazienti che respirano male, preoccupazioni, difficoltà. E i malati? In perenne sofferenza, lunghe settimane con i marker di infiammazione alle stelle, cicli di antibiotici somministrati senza antibiogramma, 5 giorni di terapia senza verificare se PCR e VES siano rientrate entro limiti accettabili (e spesso non lo sono). Non mi fraintendere: io non faccio l’infettivologo, non so qual è la terapia giusta; lo scopo del post è mettere in luce un problema e tentare di suggerire una soluzione.
La soluzione
- tra le discipline che – giustamente – sono state integrate nel trattamento della SLA è quanto mai urgente inserire l’infettivologia. Gli specialisti di malattie infettive devono fare parte delle équipe multidisciplinari che seguono la SLA;
- per pazienti complessi, deve esistere un protocollo nazionale (snello e rapido!) che consenta di essere trattati al proprio domicilio anche quando si rende necessario un antibiotico ospedaliero;
- negli ospedali e nei centri SLA, un infettivologo deve essere disponibile a consulti a distanza. Sulla base di esami (ad esempio: PCR, VES, colture e antibiogrammi) questi deve impostare una terapia al paziente a domicilio, anche qualora siano necessari carbapenemi o qualunque antibiotico di uso ospedaliero;
- capisco il problema della tutela del professionista, il quale non si attiva in assenza di ricovero del paziente. Bene, sono decenni che per qualunque cosa firmiamo inutili privacy e moduli, si pensi alla recente pandemia e alle manleve infinite che ognuno di noi ha firmato in favore di medici e case farmaceutiche. Se ne aggiunga una, affinchè i malati di SLA possano ricevere a domicilio la cura prescritta da un infettivologo. E’ semplice. “Io, malato di SLA, prendo atto di avere una infezione per la quale è necessario un ricovero e capisco sarebbe la cosa giusta. Non me la sento di essere ricoverato per fare delle flebo, quindi chiedo all’infettivologo di prescrivermi la terapia e se qualcosa andrà storto mi assumerò tutte le responsabilità per avere rifiutato il ricovero“. Questo il senso. Fine.
Enti, istituzioni, Onlus SLA, chi si impegna a risolvere velocemente questa rogna?
Basta volerlo: si prenda un infettivologo di ogni ospedale che si renda disponibile – per situazioni delicate come la SLA – a visionare esami a distanza e a prescrivere terapie a domicilio, anche antibiotici normalmente di uso ospedaliero. Ci vuole la manleva? È comprensibile, si faccia!
Non moriremo per un modulo in più, ma per un antibiotico prescritto alla cazzo sì.