Me ne sono accorto negli ultimi mesi, ora penso di poterlo dire con certezza: mi hanno abbandonato. Chi? Quelli della struttura in cui mio padre è ospite, dove mia mamma ed io passiamo gran parte della nostra giornata insieme a lui, 7 su 7, 365 su 365, dal 2015. Senza alcun contributo, lo sai, “perchè tanto fanno tutto loro“.


Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.


Sono piuttosto amareggiato, ho la sensazione che con il passare del tempo la mia gentilezza e disponibilità totale a collaborare e a relazionarmi con il sorriso (mai un battibecco col personale in 5 anni, sfido io a trovarne altri!), mi si siano ritorte contro. Come molti altri nella mia situazione, io in quella RSA di fatto ci vivo, ci lavoro (col PC) e me ne esco da lì ogni sera, dopo ore ed ore, sudato e con le mani sporche. Ti evito l’elenco delle cose che faccio: è lungo e a tratti schifoso.

È luglio 2019, estate inoltrata. Sai quante volte sono stato al mare? Zero. In piscina? Zero. Quante domeniche al parco o sul lago? Zero. Solo lì dentro. Ho sempre fatto tutto volentieri, sia perchè c’è di mezzo mio padre sia perchè riconoscevo nel personale la voglia di aiutarmi dando il massimo (possibile) per una struttura non certo nata per la SLA. Farmi il mazzo per non gravare e disturbarli solo se indispensabile mi è venuto naturale, anche per merito – va sottolineato – dell’atteggiamento positivo della dirigenza e di tutto lo staff. Il loro impegno ed un occhio di riguardo, per un caso così delicato e per una famiglia più che collaborativa, l’ho percepito in tante occasioni. Ho sentito che ci hanno voluto bene e – non ho dubbi – ce ne vogliono ancora. Non fare queste premesse sarebbe da ingrati con la memoria corta. Io, per chi mi fa del bene, ho buona memoria.

E allora perchè mi sento abbandonato? Mi auguro sia soltanto una sgradevolissima sensazione che verrà ben presto smentita dai fatti, eppure da tempo noto un progressivo calo di attenzioni. Ci sono settimane in cui nessun medico viene più nemmeno a chiedermi come va, se abbiamo bisogno di qualcosa. Per carità, se chiamo corrono, baci e abbracci. E tanta, tantissima fretta, ogni volta. Ho la percezione che la mia indole, in antitesi con il classico Parente-Cagacazzi – figura immancabile in ambiente ospedaliero (assieme al Medico-Cagacazzi e l’Infermiere-Cagacazzi, s’intende) – li abbia via via abituati a prendere alla leggera quanto accade nella nostra stanza. A meno che ci sia un allarme che suona per mezza giornata – e se ci sono io non suona – tutto il resto, per loro, è ok. Abbiamo 2 o 3 questioni per noi importanti – potrebbero migliorare la qualità della vita di merda di mio padre – forse anche facilmente risolvibili, ma se non suonano cicalini che rompono la quiete dell’infermiere di turno, non frega niente a nessuno. Qualunque rogna ulteriore – anche potenzialmente trattabile! – ormai va presa con rassegnazione, come un pegno da pagare ad un Cielo avido di sacrifici umani, che ci ha però concesso la gentilezza di arrivare fin qui.

Ma sì, Nicolò non dice niente, e per loro abbiamo fatto fin troppo“, oppure: “beh il padre è già andato ben oltre il tempo massimo, chissene…“, o ancora “finchè gli allarmi sonori non rompono le palle a tutto il reparto, non sbattiamoci“. Sono frasi che naturalmente nessuno di loro ha mai pronunciato, ma ho l’impressione che stiano iniziando a pensarle da un po’. Mi dispiace e mi fa male, proprio per il rapporto che c’è sempre stato. Se io riconosco il loro impegno e la loro benevolenza, mostrando gratitudine anche in questo articolo dove potrei sfogarmi non avendoli resi riconoscibili, mi aspetterei di raccogliere pure io quanto di buono ho seminato.

Non ho pretese assurde, solo un minimo di considerazione, come prima. Mi piacerebbe che entrasse qualcuno – ogni tanto – a chiedere se ho bisogno; sai, magari l’allarme non suona solo perchè mi sto facendo il culo per non fartelo suonare e romperti i coglioni! Vorrei che bussasse la dottoressa – mia amica che ho giustamente lodato in più occasioni su queste pagine – ad informarmi se è stato fatto qualche esame, mostrandomi – anche per finta, almeno per conforto – che mio padre non è diventato l’ultimo di tutti.

E poi la lingua!!! Siccome il problema non è più drammatico, per loro è a posto. Che a mio padre la lingua sia tornata fuori dalla bocca quel tanto per battere sugli incisivi, creando difficoltà nelle aspirazioni e talvolta sanguinamenti – oltre che deturparlo nell’aspetto – non frega un fico secco. L’emergenza era stata risolta (grazie a una mia intuizione) e non tornerà più, quindi amen. “Un po’ di lingua fuori, finchè non esplode, teniamola così“. Discorso che condividerei anche, se non fosse che ho individuato la probabile causa, ho in mano un possibile rimedio (acquistato a mie spese e fatiche) ed ho consegnato loro esattamente quanto richiestomi: documentazione scientifica e prescrizione del neurologo dell’ospedale di riferimento. Sono passati due mesi, tutto tace. Che rabbia! Sanno che ci tenevo, almeno il rispetto di spiegarmi se c’è stato un cambio di rotta e perchè. Non pretenderei altro, nè avrei rotto il cazzo, non è da me. Avrei risposto con il solito sorriso, ringraziando per essere stato informato.

Infine c’è una nuova sorpresa, un mistero che ci tiriamo dietro da un anno (sulle gambe) e che – ultimamente – ha mostrato un deciso aggravamento. Finora non me ne ero occupato in prima persona, avendo altre priorità urgenti e fidandomi del “non si sa bene cosa sia ma è tutto ok, non si può fare niente“. Ecco, visto l’evidente peggioramento, ieri sera – a letto e col telefono in mano – penso di aver fatto la diagnosi esatta. Finalmente quel problema alle gambe potrebbe avere un nome. È una rogna di cui ti parlerò nel prossimo post.

Sai cosa mi fa incazzare, più di tutto? Che – se non ho sbagliato diagnosi – questa misteriosa complicazione è figlia della stessa identica causa della lingua ingrossata, per la quale da mesi ho la possibile soluzione definitiva. Ma è ancora lì nel cassetto, nonostante la prescrizione del neurologo. Tanto Nicolò non va a lagnarsi dalla maestra e, in fin dei conti, nessun cicalino sconvolge la routine del corridoio.


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3 Comments

  1. Purtroppo quello che dici è vero. Spesso chi affronta le situazioni difficili con apparente forza, evitando di cedere allo sconforto di fronte agli altri, per dignità, riservatezza o altro, viene preso sotto gamba. A me è capitato davanti a un’impiegata dell’inps che doveva gestire una pratica urgente che mi avrebbe permesso di accompagnare mio padre in un viaggio verso un ospedale. Finché ho sollecitato con un sorriso, chiedendo gentilmente se era possibile avere una risposta entro il giorno successivo, mi ha risposto che non dipendeva da lei, che non poteva farci niente. Quando ho ceduto alle lacrime, che non sono riuscita a trattenere, all’improvviso, visibilmente imbarazzata, è riuscita a trovare una soluzione. A volte bisogna riuscire a chiedere aiuto, anche se questo ci costa perché và contro il nostro modo di essere.

    1. E’ così. Mi arrendo, e ammetto che hai ragione. Io purtroppo sono in un delicato equilibrio: di quella struttura non posso lamentarmi, sono consapevole che hanno sempre fatto il massimo – nei limiti del loro possibile – per aiutare e accontentarci. Lo riconosco, sono onesto. Il rimedio che sto caldamente suggerendo, l’ho già richiesto varie volte e non posso non aver notato – nelle ultime occasioni – un principio di fastidio alle mie richieste. Il mio timore è di andare a rompere l’equilibrio, generando una piccola frattura con una struttura che comunque mi è amica e mi aiuta. Vorrei insomma che – avendo assecondato tutte le loro richieste (prescrizione dell’Ospedale di riferimento, autorizzazione del neurologo) – ora procedessero, senza dover arrivare a dover infastidire con altre pressioni. Vediamo, ma temo che non ci sia altra scelta. Grazie per aver condiviso la tua esperienza.

  2. Sono sicura che troverai la “strategia” giusta. Anche perché hai tutto il diritto di poter provare ad alleviare in ogni modo possibile le sofferenze di tuo padre. Grazie a te e in bocca al lupo!

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