Valter Longo” – scrive il sito della sua fondazione – “è attualmente professore di Biogerontologia e Scienze Biologiche e direttore dell’Istituto di Longevità della School of Gerontology presso la University of Southern California (USC) a Los Angeles oltre che direttore del Programma di Oncologia e Longevità presso IFOM (Istituto FIRC di Oncologia Molecolare) a Milano“. Insomma, uno che ha i titoli per parlare di alimentazione. Inoltre – aspetto non secondario – mi pare goda di buona stampa (per carità, meritatamente) e questo gli consente di dire e fare cose per le quali altri sarebbero già stati messi al rogo da un pezzo. Scrive di diete, vende libri e addirittura kit di alimenti e integratori, roba che oggi o hai le spalle grosse oppure è meglio vai a spacciare droga in qualche angolo di una metropoli: attireresti senz’altro meno rogne. Sono rimasto scottato da un certo accanimento mediatico verso un tizio che seguo, a mio avviso lo stanno facendo fuori ben oltre le proprie colpe; qualcuna ne ha,  ne parleremo magari in un altro post poiché nulla ha a che fare con Longo.


Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.


Tale Longo, invece, è un bravo scienziato che sta studiando il rapporto esistente tra alimentazione, salute, malattie (anche neurodegenerative) e longevità. E’ uno in gamba, di quelli che piacciono a me e – guarda caso – è giunto alle conclusioni che pure io – dal basso della mia incompetenza – sposo da un pezzo.

Ne ho presi di libri sul tema nutrizione, penso che comprerò pure il suo (La dieta della longevità) nonostante per me il non-plus-ultra rimanga la lettura degli studi scientifici e delle sperimentazioni ufficiali: se in questi anni ho dato una sterzata al mio stile alimentare è solo grazie al fascino degli studi e dei numeri. Tutti sappiamo che mangiare bene fa bene e mangiare male fa male, no? Quello che non sappiamo è cosa sia esattamente il mangiare bene. Posso assicurarti che se tornassi indietro di una manciata di anni – quando di studi non ne avevo visto manco uno – l’idea di alimentazione sana era alquanto vaga e non esente da errori che – solo oggi – definirei macroscopici. Con ciò voglio dirti che ti capisco: se non hai mai letto uno studio e ritieni che mangiare sia anzitutto un piacere o comunque l’ultima cosa su cui intervenire, e – per dirne un’altra tra tante – che pane, riso e pasta rappresentino la base dell’alimentazione corretta, beh sei scusabile. Io ero proprio così.

Nelle sue ricerche Valter Longo ha misurato quanto il cibo possa fare la differenza, nel bene e nel male, col merito di andare nello specifico sfatando pure qualche tabù. Ci spiega come il nostro organismo reagisce in base agli alimenti assunti, illustra come dentro di noi le cose cambiano – in meglio o in peggio – a seguito dell’assunzione di un alimento o di un certo tipo di integratore. Fantastico, è ciò per cui vado matto! Ma se non ci metti il naso, se non approfondisci, non potrai mai capire nè crederci. Sarai sempre portato a sottostimare, di tanto. Ed è un errore.

Le mie “conoscenze” sul tema le ho formate leggendo studi (da autodidatta), libri e consultandomi con medici e biologi. Naturalmente ognuno di essi persegue un proprio credo, il mio compito di osservatore è quello di farne una sintesi. Balza subito all’occhio che teorie apparentemente diverse come quelle di un Mozzi, un Perlmutter o un Longo – per citarne giusto tre – di fatto hanno un denominatore comune lampante. Non essendo nè medico nè scienziato, è difficile io possa partorire una teoria quindi mi limito a individuare quanto converge in quelle di coloro che sono qualificati per formularle.

Cosa sostiene il professor Longo, in breve?

Dovendo ancora leggere il suo libro, ciò che scrivo può non essere del tutto preciso, ma un’idea abbastanza chiara sul suo pensiero ce l’ho. Ne parla anche un articolo pubblicato oggi sul Corriere della Sera (link).

  • Mangiare poco, un paio di pasti al giorno più spuntini a basso contenuto di zuccheri;
  • ridurre – appunto – gli zuccheri;
  • mangiare pesce, specie quello di piccola taglia e meno contaminato da metalli pesanti;
  • poca carne, sì alle proteine vegetali;
  • integratori mirati;
  • no ai carboidrati da cereali e farine raffinati, sì – con moderazione – a quelli da cereali integrali;
  • tanta verdura, poca frutta.

Se prendi i miei primi post datati 2015 nella categoria “alimentazione” di questo blog, dove parlo di diete e scelte alimentari che mi affascinano, scoprirai che una certa affinità con le affermazioni di Longo, a conferma di quanto sostenevo sulla convergenza di certi regimi alimentari.

Provo ad andare più nello specifico, rispetto a ciò che ho compreso anche da Longo:

  • ridurre l’infiammazione con cibi e integratori antinfiammatori, eliminando alimenti pro-infiammazione come quelli raffinati e ad alto contenuto calorico, soprattutto di zuccheri;
  • ridurre i carboidrati insulinici e ad alto indice glicemico;
  • sì alle proteine vegetali;
  • sì alle proteine animali, specie del pesce;
  • sì ai grassi buoni, come omega3, sì ai semi oleosi e olio di oliva extravergine;
  • ridurre quei cibi che comportano un aumento di fattori di crescita (IGF1, insulina).

Siam sempre lì, no? Una sorta di dieta mediterranea “depotenziata” quanto a carboidrati da cereali raffinati ed insulinici che oggi – invece – costituiscono gran parte dello stile alimentare occidentale. Biscotti, riso, gallette varie, grissini, snack, cracker, patate, pasta e pastasciutte sono alimenti gustosissimi, ma pare non vadano così bene come un po’ tutti ci hanno fatto credere. O almeno non nel modo in cui li consumiamo oggi: ingredienti base e sempre presenti nella dieta. Infiammano, gravano sul lavoro di fegato e pancreas, aumentano la glicemia, predispongono al diabete e a mille altre patologie ancora peggiori.

NOTA BENE: nei commenti qui o sui social dove viene condiviso il mio post, astenersi da esempi di cugini che hanno mangiato dolci e pastasciutta a quintali per tutta la vita rimanendo magri ed in salute fino a 100 anni. Gli stili di vita influenzano (anche pesantemente) le probabilità di problemi di salute, ma ridurre rischi non significa azzerare le probabilità di un evento. Converrai con me – spero – che comunque è meglio abbassare un rischio piuttosto che alzarlo, no? Indipendentemente da come è andata a quel mangiatore di brioche e patatine fritte di tuo cugino. Quello che scrivo può essere criticato, ci mancherebbe, ma nel caso lo si faccia con un minimo di razionalità. Vi prego!

L’argomento è vasto, ne ho lette di cose interessanti a riguardo e mi riprometto di approfondire in uno dei miei prossimi scritti. Per ora è tutto. Se ritieni che le riflessioni che sto condividendo abbiano un valore, puoi sostenere il mio blog e ringraziarmi per il tempo che dedico effettuando una donazione con il tasto qui sotto.

Commento sul cugino scampato fino a 90 anni, in arrivo tra 3… 2… 1…  😀


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