Ok, “ciao ciao” è un po’ forzato, qui più che di un addio si tratterà di un arrivederci con meno frequenza. Ma è già qualcosa di clamoroso.
Se hai seguito la storia, sai che mio padre – come gran parte dei malati di SLA nelle sue condizioni – è caduto da diversi anni nella terribile spirale dei cicli di antibiotico. Si manifestano febbre o febbricola, le difficoltà di ventilazione, frequenti desaturazioni, problemi nell’aspirazione delle secrezioni: sintomi tipici di quelle che negli studi chiamano URTI (Upper Respiratory Tract Infections), le infezioni del tratto respiratorio.
Ricorda sempre che non sono un medico, quanto leggi in questo sito è solo il racconto di una storia e del mio parere personale. Per informazioni attendibili e per qualsiasi iniziativa devi consultare un medico.
Il trattamento prevede appunto l’impiego di antibiotici e, in un paio di giorni, spunta la luce in fondo al tunnel. Il guaio è che – lo raccontavo in post precedenti – quando i batteri hanno ormai preso il sopravvento, l’antibiotico fa sì il suo mestiere ma la festa dura poco: in qualche settimana dalla sua sospensione, i sintomi ricompaiono gradualmente ed il mese successivo sei punto e a capo. Nuovo antibiotico, il paziente si riprende e da lì, tempo 30 giorni, ancora la solita solfa: sintomi, difficoltà, tribolazioni, necessità di terapia. Un incubo ricorrente, per il malato e per chi lo assiste, tenuto pure conto che del farmaco non puoi abusare.
Per noi il girone infernale inizia verso la fine del 2016, con le prime polmoniti. Per tutto il 2017 ed il 2018 la media è di una riacutizzazione al mese, si tira avanti finchè si può e infine l’epilogo è sempre quello: antibiotico, o salta la baracca. Vale a dire circa 24 polmoniti e 24 antibiotici in 2 anni, questa è stata la nostra media. Fino a quando…
A inizio 2019 mi rendo conto che continuare così è impensabile, roba da uscire di testa e fare una strage. Mi metto a setacciare ogni genere di pubblicazione scientifica che parli di batteri ospedalieri, infezioni del tratto respiratorio, sistema immunitario, complicanze nei pazienti complessi e capisco che – forse – posso tentare e plasmare una serie di interventi. Da perdere avevo poco, mio padre era d’accordo. A gennaio 2019 comincio e noto alcuni segnali incoraggianti, ma non tali da cantar vittoria: si allungano un po’ i tempi tra un antibiotico e l’altro, inoltre mi pare che le infezioni stessero calando di “magnitudo”. Il primo semestre del 2019 si conclude con 4 antibiotici anzichè i soliti 6 registrati nei quattro semestri antecedenti. Bello, ma non abbastanza.
Esasperato, a metà 2019 mi incazzo e cerco di far tesoro dei primi risultati per sferrare un attacco di più vasta portata. Ho la pelle d’oca mentre ti scrivo, non mi pare vero: da luglio, arriviamo a capodanno con 1 polmonite. Una, anzichè 6. Ho analizzato il risultato – secondo le mie modeste capacità/disponibilità – nei post di allora (qui e qui).
Oggi siamo a fine aprile 2020 e… che è successo? Di polmoniti manco l’ombra. Difficoltà respiratorie degne di nota? Mai. L’ultimo intervento con antibiotico per problemi di tale natura risale a settembre 2019. Ti rendi conto di cosa vuol dire per noi? Dopo una polmonite al mese per oltre due anni, adesso quasi ce ne siamo dimenticati.
In questo trionfo (momentaneo, casuale, miracoloso?) c’è una macchia che riporto per onestà e dovere di cronaca. Qualche antibiotico lo abbiamo visto lo stesso, ma non somministrato per problemi ai polmoni. “Certo” – direbbe giustamente il pignolo – “però così si è intervenuti di riflesso su eventuali infezioni respiratorie, magari soffocandole sul nascere senza saperlo“. E infatti – nel mio conteggio – io ce li metto! Ma… rispetto ai numeri degli anni passati siamo ugualmente in nettissimo vantaggio.
È qualcosa di incredibile, solo chi c’è passato – e sono in tanti – può apprezzare il peso di un esito simile. E – non dimenticarlo – in un paziente che, purtroppo, per via di una SLA parecchio aggressiva è chiaro che fosse più in forma nel 2017 che nel 2020. Non si è giocato a parità di condizioni, bensì in salita!
Bisogna stare calmi e attenti: fare proclami o lasciarsi andare a facili entusiasmi sarebbe un errore in cui non intendo cadere. L’unica cosa sensata è recarmi da un medico-ricercatore cui sottoporre i risultati, e con lui capire se vi è margine per approfondire passando attraverso il metodo scientifico. Sono parole grosse, lo so, ma non posso nemmeno portarmi il segreto nella tomba. Desidero solo che un medico esperto mi dia la sua opinione e si tracci una linea, qualora se ne intravedesse uno sviluppo.
Ti lascio con il grafico aggiornato, con due barre per anno: quella delle polmoniti (rossa) e quella dell’impiego di antibiotici (blu). Potrai apprezzarne l’andamento in corrispondenza di un 2019 dal quale ho deciso di spingere – come non ci fosse un domani – sulla situazione delle URTI.

Come vedi, al 26 aprile 2020 manca la barra rossa, infatti abbiamo zero polmoniti (l’ultima è della scorsa estate) e l’impiego di antibiotici è avvenuto solo per cause extra, ad esempio la contaminazione di un catetere venoso centrale (un evento per cui non si poteva fare granchè). Se questa importante riduzione della frequenza di infezioni del tratto respiratorio sia un caso, un abbaglio o una strada concreta, beh lasciamolo dire alla scienza. Vediamo cosa succede nel grafico entro fine giugno e poi deciderò se e come muovermi.
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